Tratto dal sito di Superando

di Thomas Hammarberg, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa

Ogni restrizione dei diritti della persona, oltre che giustificata, dev'essere commisurata ai bisogni dell'individuo e rappresentare il risultato di procedure basate sui diritti stessi, in combinazione con effettive forme di salvaguardia: è quanto ha sancito la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, rispetto a chi è coinvolto in situazioni di disabilità mentale o intellettiva. Un recente intervento di Thomas Hammarberg, commissario ai Diritti Umani del Consiglio d'Europa - la cui tradizione presentiamo in esclusiva ai nostri lettori - ci consente di fare il punto della situazione in questo settore, dove ancor oggi, in troppi Paesi d'Europa, questi cittadini vengono trattati semplicemente come "non persone".
Le persone con disabilità mentali o intellettive sono state discriminate, stigmatizzate e oppresse anche in anni recenti. La loro esistenza è stata vissuta puramente come "un problema" e sin troppo spesso sono state confinate in istituti lontani o nelle stanze più appartate della loro casa di famiglia. Sono state insomma trattate come "non persone" e le loro decisioni ritenute sempre insignificanti.
Oggi, nonostante sia cambiato molto, grazie anche ai risultati ottenuti dalle battaglie per i diritti umani, queste persone affrontano ancora molti problemi rispetto al loro diritto di prendere decisioni in autonomia, anche in ambiti importanti della loro vita. Infatti, la loro capacità giuridica è ancora assai limitata, quando non ne siano del tutto privati e spesso vengono poste sotto la tutela di qualcun altro, titolato a prendere decisioni per loro conto.
Alcune persone con disabilità mentali o intellettive - come conseguenza della loro disabilità - possono senz'altro avere dei problemi oggettivi nel rappresentare se stesse di fronte alle autorità, a una banca, a un proprietario di immobili o altro. E questo li porta a subire condizionamenti, se non imposizioni, su scelte che altrimenti non compierebbero. Uno dei princìpi fondamentali alla base delle leggi internazionali sui diritti umani sta proprio nel fatto che le norme condivise vengano applicate ad ogni essere umano, senza alcuna distinzione e invece questo - riguardo alle persone di cui stiamo parlando - ha fatto registrare un vero e proprio "fallimento" che ha portato gli Stati Membri delle Nazioni Unite ad adottare la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, nella quale viene sottolineato che le persone con ogni tipo di disabilità devono essere investite della completa sfera dei diritti umani, sulla base dell'uguaglianza con gli altri. L'obiettivo è pertanto quello di promuovere la loro inclusione e la piena partecipazione nella società, ricordando che quando le persone vengono private del loro diritto ad autorappresentarsi, tali princìpi vengono contraddetti.
Ma in quale modo si possono (e si dovranno) affrontare le situazioni concrete? La Convenzione ONU tratta questo tema nell'articolo 12 (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge), che afferma come i Governi debbano riconoscere «che le persone con disabilità godono della capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita». La Convenzione prende in considerazione anche la realtà che alcune persone - a causa della loro disabilità o per ostacoli esterni - non siano in grado di prendere autonomamente decisioni importanti. Nei loro confronti, dunque, il Trattato richiede ai Governi di fornire «accesso al sostegno» di cui possano aver bisogno nell'esercizio della loro capacità giuridica.
Ebbene, la natura di questo supporto rappresenta un aspetto cruciale, un campo in piena evoluzione all'interno di alcuni Stati Membri del Consiglio Europeo. Oltreoceano, si tratta di una pratica inclusa ad esempio da alcuni anni in molte leggi regionali canadesi, ove si dà riconoscimento a una "rete di sostenitori" - non imposta, però, agli adulti - i quali si occupano di fornire informazioni e alternative di scelta alle persone che debbano prendere una decisione.
Sempre all'articolo 12 la Convenzione afferma che debbano esserci «adeguate ed efficaci garanzie» per prevenire ogni abuso, che i diritti, le volontà e le preferenze delle persone interessate siano rispettati e che non sussista alcun conflitto di interessi o influenza indebita tra le persone che supportano l'adulto e l'adulto stesso. In più, queste disposizioni devono essere applicate per il più breve tempo possibile ed essere soggette a periodiche revisioni da parte di un'autorità competente, indipendente e imparziale o di un organo giudiziario.
Si tratta di formulazioni che consentono un'ampia gamma di alternative alla tutela prevista per gli adulti con disabilità. Il punto di partenza per le riforme è quindi la piena capacità giuridica combinata con il diritto della persona a cercare il giusto sostegno e l'esercizio di tale sostegno dev'essere sempre regolato, con salvaguardie in grado di evitare che la fiducia sia mal riposta.
Tutto ciò - come appare chiaramente - differisce non poco dall'effettiva pratica vigente nella maggior parte dei Paesi - anche in Europa - dove la tendenza è quasi sempre stata quella di dichiarare le persone con disabilità mentale o intellettiva legalmente incapaci, quasi routinariamente, ponendole sotto tutela legale. E tuttavia, sembra che la Convenzione ONU - così come il Piano d'Azione Europeo per la Promozione dei Diritti e della Piena Partecipazione delle Persone con Disabilità nella Società 2006-2015 - abbia già incominciato a far sentire i propri effetti in alcuni Paesi. Infatti, una ricerca dell'Unione Europea sull'implementazione della Convenzione ha recentemente reso noto di aver ricevuto rassicurazioni riguardanti la revisione delle procedure in questo ambito da parte di Francia, Irlanda, Lettonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Secondo il rapporto prodotto, sia i Paesi citati che altri «hanno espresso un interesse nello scambio di informazioni, attraverso l'organizzazione di conferenze, gruppi di lavoro con esperti e seminari su questo argomento, coinvolgendo la società civile e tutti i protagonisti di rilievo, incluse le Magistrature, per discutere i termini legali, con uno sguardo rivolto allo sviluppo di leggi, politiche e pratiche».
Discussioni di questo tipo sono necessarie per un effettivo cambiamento delle leggi e delle politiche, che in linea di principio sono state concordate nel momento in cui la Convenzione ONU e il Piano d'Azione Europeo sono stati scritti e approvati. Ovviamente la casistica giurisprudenziale della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo verrà studiata approfonditamente, nel corso di questo processo, e in tal senso è necessario che di fronte a quella stessa Corte venga presentato il maggior numero possibile di cause, per integrare al meglio l'approccio della Convenzione nella legislazione europea.
Ad esempio, in un caso dello scorso anno l'Alta Corte si è occupata della privazione della capacità giuridica e del ricovero ospedaliero forzato del signor Shtukaturov, persona adulta con schizofrenia, privata della sua capacità giuridica tramite una decisione presa a sua insaputa, su richiesta della madre, divenuta la sua tutrice. Successivamente gli era stato proibito, a norma di legge, di impugnare quella decisione di fronte alle Corti russe ed era stato trattenuto in un ospedale psichiatrico.
Dopo avere esaminato il caso, la Corte ha affermato che «l'esistenza di una malattia mentale, anche grave, non può più essere l'unica ragione per giustificare la totale inabilitazione». I giudici di Strasburgo hanno indicato anche che dev'essere la legislazione interna a fornire una risposta «su misura». E ancora, la Corte ha riscontrato che il processo decisionale che ha privato la persona della sua capacità giuridica ha costituito «una sproporzionata interferenza nella sua vita privata», registrando in questo caso svariate violazioni della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Tale giudizio dev'essere certamente interpretato per promuovere ulteriormente un approccio in linea con la Convenzione ONU. Ogni restrizione dei diritti della persona deve cioè essere commisurata ai bisogni dell'individuo, oltre che giustificata e rappresentare il risultato di procedure basate sui diritti, in combinazione con effettive forme di salvaguardia.
Del resto è anche interessante notare come nella Convenzione venga ritenuto particolarmente importante rimarcare l'importanza della tutela del diritto delle persone con disabilità rispetto alla proprietà, al controllo dei propri affari finanziari e al pari accesso a prestiti bancari e mutui. Una sottolineatura, questa, quasi certamente basata sulla constatzione che in tali settori le decisioni riguardanti l'inabilitazione sono state quasi sempre prese contro lo spirito dei diritti umani.
orrei aggiungere anche che le persone con disabilità mentali o intellettive dovrebbero avere sempre il diritto di voto e quello di candidarsi alle elezioni. E nonostante questo sia chiaramente affermato nell'articolo 29 della Convenzione (Partecipazione alla vita politica e pubblica), in alcuni Paesi europei esse ne sono escluse: con la limitazione o la privazione della loro capacità giuridica, hanno perso dunque anche quei diritti, ciò che ha ancor più aggravato la loro invisibilità politica.
In conclusione dobbiamo ricordare che c'è una grande differenza tra il sottrarre il diritto a prendere decisioni sulla propria vita e il fornire «accesso al sostegno». Nel primo caso, infatti, le persone con disabilità sono viste come "oggetti di trattamento", cui rapportarsi con carità e anche timore; nel secondo, invece, esse vengono poste al centro delle decisioni e vissute come soggetti titolari della completa sfera dei diritti umani.
Traduzione e adattamento del testo originale a cura di Giuliano Giovinazzo.

1 ottobre 2009