Fonte - www.vita.it - La palla è uguale, ovale. La maglia è la stessa, come quella azzurra di Martin Castrogiovanni, Sergio Parisse e Mauro Bergamasco. Uguale è il Paese dove hanno giocato, l'Inghilterra. A essere particolari, forse, sono solo loro. Walter, Stefano, Luca, Enrico sono infatti alcuni dei 39 ragazzi della Nazionale italiana di Mixed Ability Rugby che ha partecipato a Bradford tra il 17 e il 21 agosto al primo Mondiale di rugby integrato. Quattrocento atleti, dodici squadre, provenienti dall'Europa e dall'Argentina, che si sono affrontate per quattro giorni a Bradford, nel centro-nord dell'Inghilterra, all'insegna dell'integrazione.

Tutti in campo, insieme e senza distinzioni ragazzi con disabilità relazionali e intellettive e giocatori normodotati. Una grande esperienza, non solo sul campo quella del Mondiale, che per l'Italia è solo una delle tappe di un percorso, cominciato tra le aule, i campi e la nebbia del Piemonte. Il XV dell'Italia infatti è formato con qualche innesto proveniente da Villorba, Rivoli e Cremona, dal Settimo CROn, squadra di rugby integrato nata dalla collaborazione tra la ASD Settimo Rugby, club di Settimo Torinese e il Chivasso Rugby Onlus, la prima società italiana che si occupa "per statuto" di Mixed Ability Rugby creata nel 2010.

"L'idea di utilizzare la palla ovale come strumento d'inclusione– spiega Enrico Colzani, professione educatore e presidente del Chivasso Rugby Onlus- era nata, oltre che dalla nostra passione per questo sport , dai buoni risultati dei progetti realizzati a Torino nelle scuole, dalle elementari al liceo. Con cicli brevi e attraverso il gioco riusciamo a tirare fuori conflitti e spesso a risolverli". L'ispirazione poi sono state anche le esperienze di rugby integrate portate avanti con successo all'estero, come quelle dei gallesi dello Swansea e del Llanelli o degli inglesi dei Bumbles, a cui Enrico, Martino Corazza, la psicologa Marilena Giuliacci e gli altri amici, appassionati di rugby, hanno guardato con interesse. E con cui i ragazzi italiani cominciano a intrattenere rapporti via e-mail. Per capire e imparare.

Da quel momento è una continua crescita, il cui segreto secondo Enrico Colzani, come come tutti è istruttore di primo livello della Federazione Italiana Rugby è uno: credibilità. "Essere sul campo in tutti i sensi – spiega – allenare ma soprattutto parlare con tutti, genitori, cooperative, istituzioni per costruire un percorso per i ragazzi che giocano". Ragazzi, adolescenti, adulti disabili o no, che sul campo sono tutti uguali. "Non esistono regole diverse per normodotati o atleti con disabilità nè segni distintivi– racconta il presidente – giochiamo lo stesso gioco e mettiamo in campo chiunque voglia partecipare senza distinzione". "Gli unici accorgimenti – prosegue Colzani – riguardano alcuni momenti di gioco, in cui ci prendiamo insieme a loro un momento in più di tempo". Attività sul campo, due allenamenti a settimane a cui poi si affianca quella fuori, in cui il rugby è momento di crescita per i ragazzi, che attualmente sono divisi in due gruppi, i più piccoli (fino ai 20 anni) si allenano a Chivasso mentre i più grandi, la "prima squadra", con persone che superano i 40 anni, a Settimo Torinese.

"Per molti giocare in una squadra – racconta Marilena Giuliacci, psicologa e vice presidente del Chivasso Rugby Onlus – è un'occasione di stare insieme e acquisire autonomia. Un esempio? Ora alcuni tra i giocatori prendono il treno per venirsi ad allenare, una cosa che prima non facevano". In più Marilena, insieme agli altri educatori si confronta costantemente con i ragazzi. "Discutiamo e ragioniamo di quello che va, di quello che non va, delle cose che hanno fatto bene a qualcuno e meno bene a qualcun altro" spiega.

Un approccio, quello del Mixed Ability Rugby, che si sta sviluppando nell'Europa della palla ovale. A fine 2014 è nata la Ability Rugby International, associazione che raggruppa i club che seguono i modello del rugby integrato, tra cui il Chivasso Rugby Onlus e ad agosto è stato possibile giocare il Mondiale di Bradford, il cui principale organizzatore è stato l'IMAS (International Mixed Ability Sports), un'impresa sociale fondata in Inghilterra dove si è trasferito da Martino Corazza, una delle anime del Chivasso Rugby Onlus per promuovere lo sport integrato.

Un evento quello di Bradford per cui sono scesi in campo istituzioni il Ministero dello Sport britannico o come la RFU, la Federazione rugbystica inglese e personalità come il ct della nazionale Stuart Lancaster. I problemi e le difficoltà per il futuro però non mancano. "Vorremmo – spiega il presidente Colzani - più interesse e collaborazione da parte delle istituzioni sportive, come esempio succede in Inghilterra". E poi c'è il lato pratico. "Per il tipo di ragazzi che abbiamo – prosegue Marilena Giuliacci – abbiamo difficoltà per esempio ad organizzare amichevoli, perchè dobbiamo cercare persone che capiscano chi noi siamo e che progetto portiamo avanti. E non è facile". In un anno il Chivasso Rugby Onlus ha giocato cinque amichevole. Nella nuova stagione si spera di aumentare. Anche perchè dopo Bradford, il cuore e la testa sono già al prossimo Mondiale datato 2017.

24 Settembre 2015