Fonte www.disabili.com - Questo contributo, che è il primo step di un lavoro di ricerca, propone una panoramica della figura del disability manager nel contesto italiano. Non ha la pretesa di essere esaustivo, ma offre alcuni spunti di riflessione e prospettive per il futuro, in relazione anche al confronto con Paesi in cui tale figura professionale esiste da ormai 30 anni.

A livello globale, l'approccio al Disability Management nasce alla fine degli anni '80 all'interno di diverse discipline e si diffonde solo in alcuni Paesi quali il Canada, gli USA e nel Nord Europa, mentre in altri come la Cina, il Giappone e la Francia è stato preso in considerazione solo di recente.

In Italia la figura del disability manager si trova definita per la prima volta nel "Libro bianco su accessibilità e mobilità urbana", frutto del lavoro del tavolo tecnico istituito tra il comune di Parma e il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali nel 2009. Nasce, quindi, come figura da inserirsi principalmente nella pubblica amministrazione, in particolare nei comuni al di sopra dei 50 mila abitanti.

Possiamo definire il disability manager come un facilitatore creativo, con il compito di costruire soluzioni che sostengano l'autonomia della persona con disabilità nelle diverse sfere della vita quotidiana. È, dunque, un costruttore di reti, di servizi, di soluzioni che, partendo necessariamente dai need della persona con disabilità, dispone degli strumenti per realizzare una visione unitaria e coordinata, per migliorare la qualità delle politiche territoriali.

Il suo obiettivo è quello di favorire l'accessibilità urbanistica, il coordinamento sociosanitario, l'inclusione scolastica, quella lavorativa e il turismo, mediante il superamento dei confini dei servizi e la valorizzazione delle professionalità esistenti sul territorio.

Quella del disability manager è una competenza da aggiungere a una professionalità già esistente.

Il titolo si consegue partecipando al corso di perfezionamento presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica Sacro Cuore, centro dell'ateneo di bioetica di Milano, in collaborazione con l'istituto neurologico Besta. Sono presenti anche altre iniziative formative, come ad esempio quelle avviate dalle università di Napoli e Padova.

Non esistendo, al momento, alcuna norma o regolamento che istituisca la figura del disability manager a livello nazionale, alcuni comuni hanno comunque deciso di istituire tale figura all'interno della loro pianta organica. Si tratta, tuttavia, di iniziative sporadiche e isolate, dettate più da una sensibilità della struttura od organizzazione, più che da un effettivo mandato.

L'impiego del disability manager in Italia in futuro sarà necessario per attuare gli impegni che l'Italia ha assunto ratificando la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, con Legge 3 marzo 2009, n. 18. Di particolare rilievo, a nostro avviso, risulterebbe il ruolo nel contesto lavorativo: l'ideale sarebbe un disability manager capace di operare in tutti i settori del lavoro, quindi senza specializzazioni sulla Pubblica Amministrazione o sull'impresa privata e senza artificiose distinzioni tra settori produttivi, altrimenti avremo settori d'impresa "coperti" e altri ingiustificatamente scoperti.

Il disability manager è una figura molto utile per agevolare, in generale, la relazione tra un'organizzazione aziendale e la persona con disabilità, in quanto adotta un approccio trasversale, che prevede sia una gestione dell'ambiente fisico, da strutturare in base alle specifiche esigenze della persona, sia nella gestione in primis di questa.

Ciò sarebbe anche in linea con quanto già si fa in paesi molto più avanti dell'Italia su queste problematiche, come il Canada, in cui il Disability Management nel luogo di lavoro si articola nell'assunzione di politiche e di pratiche organizzative, con l'obiettivo di minimizzare la perdita produttiva, ridurre l'incidenza della disabilità lavorativa e prevenire incidenti e malattie che hanno come conseguenza una disabilità cronica.

Questo vale sia nel caso in cui la persona abbia una disabilità al momento dell'assunzione, sia nel caso in cui la disabilità si manifesti in seguito, a causa di malattie o infortuni (di origine lavorativa o extralavorativa), motivo per cui è richiesto il reinserimento dopo un'assenza più o meno lunga.

In quest'ottica, il recruiting e l'hiring costituiscono solo il primo step di un processo di inserimento, formazione e crescita del lavoratore con disabilità. Non trascurabile è il contesto "sociale" all'interno dell'azienda: il datore di lavoro, i colleghi e il manager sono gli altri protagonisti che contribuiscono, a vario titolo, al processo di inclusione lavorativa.

In particolare, gli interventi concreti di reinserimento lavorativo potrebbero e dovrebbero riguardare sia fattori interni che esterni al luogo di lavoro. Infatti, potrebbero iniziare all'interno del luogo di lavoro ed essere implementati al suo 'interno e all'esterno.

Per informazioni

Consuelo Battistelli, consulente per l'accessibilità IBM

bconsu@gmail.com

Veronica Mattana, Psicologa del Lavoro, Ph.D

veronica.mattana@gmail.com

3 marzo 2015