Fonte www.vita.it - Per portare a tavola un buon peperone crusco occorrono mesi, ma tutta la sua bontà si gioca nel tempo di un attimo, lo sanno bene le massaie dell’entroterra lucano: è l’attimo esatto in cui occorre togliere rapidamente il peperone dall’olio bollente. Solo qualche secondo in più e il peperone si brucia, è da buttare: il sapore amaro, infatti, copre il retrogusto dolce e avvolgente tipico del crusco, che conosce bene chiunque sia stato anche una volta soltanto in Basilicata. Sì, perché il Crusco è il re indiscusso della cucina lucana. 

Appena raccolto il peperone di Senise igp sembra un peperoncino piccante venuto male: troppo grande e neanche piccante. La polpa, poi, è sottilissima, quasi inconsistente. Viene coltivato nei pressi del Parco Nazionale del Pollino e la raccolta deve avvenire necessariamente a manoInsomma, a prima vista, è davvero difficile immaginare che questi strani peperoni possano essere utili a qualcosa. Non in Basilicata. Qui la gente del posto ha imparato a cucire, ago e filo, i picciuoli di questi lunghi peperoni rosso fuoco, formando delle magnifiche collane. Vengono lasciati essiccare e solo poi fritti, facendo attenzione a lasciarli nell’olio bollente solo per pochissimi secondi: il tempo necessario a consentire alla loro buccia di liberare quel sapore dolceamaro che manda in estasi i turisti. Una preparazione lunghissima che, se non si sta attenti ai tempi, può essere irrimediabilmente compromessa dall’olio bollente. 

La descrizione di questo lungo e complesso procedimento è essenziale per capire la storia di PeperonAut, perché da sola contiene tutti gli elementi che descrivono il tentativo caparbio e ostinato di alcuni genitori di ragazzi con autismo lucani. «È stato proprio il papà di uno dei nostri giovani di Senise, ormai quasi quattro anni fa, a dirmi: dobbiamo fare qualcosa con i nostri ragazzi e il peperone crusco, facciamolo diventare il peperone autistico». A raccontare la genesi di PeperonAut è Giuseppe Tataranno, presidente di Anffas Policoro. Giuseppe e la sua associazione hanno subito raccolto la sfida e da quel momento Anffas continua ad essere il motore del progetto. 

Così è partita una sperimentazione che ha coinvolto 6 giovani, tutti maggiorenni, che hanno avuto la possibilità di imparare a lavorare il peperone crusco. Sono Lorenzo, Vincenzo, Giambattista, Antonio, Davide e Lorenzo. «Dapprima abbiamo portato i ragazzi nei campi dove viene coltivato il peperone di Senise igp», ci racconta Tataranno, «ma ci siamo subito accorti che quel lavoro non faceva per loro, avevano bisogno di un contesto più protetto. L’esperienza in laboratorio, infatti, accanto alle signore che abilmente lavorano il peperone raccolto, è stata straordinariamente vincente».

Il progetto ha visto un primo momento formativo dedicato agli educatori che avrebbero poi affiancato i giovani con autismo. Gli educatori e i genitori coinvolti sono stati seguiti dal professor Roberto Keller, tra i massimi esperti in Italia dei disturbi dello spettro autistico in età adulta, e Maria Danuzzo, psicoterapeuta di Policoro esperta in autismo. Partner strategico dell’iniziativa è stato il Consorzio di Tutela del Peperone di Senise Igp, che ha raccolto subito l’adesione di quasi tutte le aziende consorziate ad ospitare e formare i giovani apprendisti.

«Da subito abbiamo sognato di poter arrivare ad aprire un laboratorio per la lavorazione del peperone di Senise gestito interamente dai nostri ragazzi», racconta Giuseppe Tataranno, «e mai le aziende che già operano in questo settore ci hanno percepito come possibili competitor. Hanno tutti intuito sin da subito che questa poteva essere un’occasione di crescita per tutto l’indotto, non soltanto per i nostri ragazzi. È stato bello vedere come il nostro sogno in breve tempo ha rianimato la speranza di tutti, è diventato davvero un progetto collettivo. Alcuni produttori ci hanno chiesto di poter creare un’etichetta che dichiari sui loro prodotti la collaborazione con PeperonAut».

Ci sono stati degli intoppi, quali difficoltà avete incontrato?  

La prima grande difficoltà è stata il Covid, che ha interrotto il nostro progetto pilota sul più bello. Abbiamo dovuto fermare tutto ed è stato difficilissimo far comprendere ai ragazzi che non era tutto finito, che avremmo ripreso presto con maggiore energia. Siamo stati felicissimi di riprendere il progetto lo scorso anno, eravamo tutti felici.

Hai detto che il Covid è stata la prima difficoltà, ce ne sono state altre?

Sì, ora siamo fermi da un anno, stavamo per gettare la spugna prima che ci chiamassero dal ministero per proporci la partecipazione questo settembre ad Expo Aid a Rimini. Siamo stati felici di poter portare la nostra esperienza, ma intanto almeno un paio di ragazzi si sono scoraggiati, facciamo sempre più difficoltà a coinvolgerli, loro vorrebbero tornare a lavorare, invece in questi mesi -terminata la fase sperimentale- stiamo facendo solo servizi tv e partecipazioni a convegni e fiere. Abbiamo superato lo stop legato al Covid, ma questo ulteriore fermo ci sta pesando ancora di più.

Perché siete fermi?

Stiamo aspettando da circa un anno l’avviso pubblico sul fondo inclusione, i soldi ci sono, quasi un milione di euro sono stati stanziati per favorire l’inclusione lavorativa per adulti con autismo. Saputo di quei soldi abbiamo deciso di aspettarli per aprire il nostro laboratorio. Già a gennaio di quest’anno sembrava questione di settimane, ma al momento ancora nulla. sappiamo che l’assessore regionale alle politiche sociali Francesco Fanelli è molto sensibile alle esigenze del nostro progetto, si sta impegnando personalmente, ma i tempi della burocrazia non sono i tempi dei nostri ragazzi, così rischiamo di perdere il lungo lavoro fatto in questi anni. Abbiamo deciso quindi di darci da fare comunque, a prescindere dai soldi pubblici, il 2 dicembre abbiamo una cena di raccolta fondi e contiamo di aprire il laboratorio non oltre il prossimo febbraio. Non possiamo più aspettare.