Fonte VITA | Articolo a firma di Vincenzo Falabella, Presidente FISH (cui Anffas aderisce) - Sto leggendo da qualche giorno, anche su VITA, che l’inclusione scolastica oggi, nel nostro Paese, si potrà realizzare attraverso l’istituzione della cosiddetta “cattedra mista”. Si tratterebbe della possibilità per il docente di passare alcune ore sulla cattedra di sostegno e le altre sulla propria disciplina. Bene! Anzi no, male. Malissimo.

I problemi organizzativi

Ci rendiamo conto dei diversi problemi organizzativi che tale proposta comporterebbe? Non tutti gli attuali docenti hanno la stessa abilitazione, pertanto nei momenti di scambio delle cattedre si potrebbero verificare delle scoperture disciplinari, inoltre, ci vorranno ben vent’anni per formare tutti i nostri insegnanti curriculari o forse se saremo bravi (ed io ho qualche dubbio), 15 anni. Senza considerare i vuoti che verrebbero a crearsi a causa dei pensionamenti. Nel frattempo? Che ne sarà dei nostri alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità? Continueremo ad avere, per oltre un terzo dei circa 300mila studenti con disabilità, semplici “badanti” anziché veri e propri docenti per il sostegno e soprattutto il posto di sostegno continuerà ad essere uno splendido “trampolino di lancio” per il posto comune? Secondo gli ultimi dati Istat, presentati a dicembre in occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità 2022, sono 316mila gli alunni con disabilità in Italia, pari al 3,6% degli iscritti e 207mila i posti di sostegno assegnati, di cui più di 70mila (il 32%) in deroga, cioè ricoperti da supplenti, perlopiù senza specializzazione.

Servono interventi realizzabili in tempi brevi

Prima di farsi suggestionare da ipotesi solo apparentemente lungimiranti ed inclusive occorre porsi la domanda: l’istituzione della cattedra mista, a chi serve? Se, per esempio, la proposta avesse come obiettivo quello di entrare nelle simpatie degli insegnanti specializzati sul sostegno, non vi è dubbio che l’iniziativa risulterebbe del tutto efficace. Ma qui c’è in gioco il sistema inclusivo del nostro Paese, c’è in gioco il futuro dei nostri ragazzi e ragazze con disabilità e Fish, con la sua rete associativa, non intente né ora né mai, negoziare i loro diritti.

La scuola non ha più bisogno di proclami, ha bisogno di concretezza e di un intervento realmente realizzabile, anche in tempi brevi.

Non sono mai stato un nostalgico del passato, ma in questo caso rimpiango fortemente il periodo dagli anni ‘70 in cui iniziò e via via si consolidò a livello culturale il processo inclusivo italiano, processo inclusivo che oggi deve essere al centro di una grande riforma, con assunzione di responsabilità della politica, dell’amministrazione, della rete associativa e soprattutto di tutto il comparto scuola (compresi i sindacati) perché dobbiamo porre rimedio, una volta per tutte, alle attuali storture del sistema.

Mi riferisco al fatto che anche quest’anno, come già avvenuto in passato, un consistente numero di docenti specializzati e titolari su posti di sostegno hanno ottenuto il passaggio sul posto comune. Questo significa che, in prospettiva, le difficoltà di copertura dei posti di sostegno continueranno ad aumentare a tutto discapito degli alunni con disabilità che, sempre più frequentemente, dovranno “accontentarsi” di avere, quando verranno fatte le nomine, docenti privi di specializzazione. A questo punto, a settembre decine di migliaia di cattedre di sostegno rimarranno vacanti; la maggior parte delle cattedre saranno coperte da docenti non specializzati e ci saranno persino classi con alunni con disabilità in cui tutti i docenti del team saranno privi di adeguata formazione.

La separazione delle cattedre

Questa è la conseguenza di non aver mai voluto accogliere la domanda che molte associazioni di famiglie e persone con disabilità, specie quelle aderenti alla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap-Fish, sollevano da anni: una apposita classe di concorso per il sostegno.

La classe di concorso, infatti, favorisce una chiara scelta professionale fin dagli studi universitari e non una scelta apparentemente professionale, ma in realtà di opportunismo, perché mentre le altre cattedre sono in calo a causa della riduzione delle nascite, quelle di sostegno sono in aumento come stanno dimostrando i dati statistici.

Oggi, con l’attuale sistema è molto più semplice entrare in ruolo su un posto di sostegno e dopo i cinque anni di obbligo di permanenza (adesso ridotti a tre), acquisiti i punteggi di continuità, passare su cattedra comune.

Questo – ovviamente e fortunatamente – non vale per tutti i docenti per il sostegno, alcuni dei quali, ma sempre in un numero minore, permangono anche ben oltre i cinque anni, ma l’orientamento di molti (lo dimostrano il numero annuale di domande di trasferimento su cattedra comune e la perenne carenza di docenti specializzati di ruolo) è quello di utilizzare il sostegno come strumento facilitatore per entrare su cattedra disciplinare.

L’istituzione di apposite classi di concorso per il sostegno non solo porrebbe fine a tale procedura ma garantirebbe quella “continuità didattica” importantissima per gli alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità, poiché i docenti dell’apposita classe di concorso per passare dal posto di sostegno a quello curricolare dovrebbero partecipare ad un apposito concorso di mobilità “professionale” (passaggio di cattedra) che sarebbe a numero chiuso e necessiterebbe del possesso dei requisiti per poter ricoprire il posto curricolare su cui si chiede il trasferimento.

Ecco perché la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap con la propria rete associativa da anni sollecita una puntuale riforma della specializzazione per il sostegno, non certo l’istituzione di una cattedra mista, ma un’apposita classe di concorso, nonché un sesto anno abilitante, come introdotto dalla Legge n. 79 del 2022, relativa al tirocinio diretto e indiretto. Nello specifico, i quattro semestri del biennio dovrebbero essere destinati rispettivamente a: a) inclusione degli alunni con disabilità intellettive e relazionali; b) inclusione degli alunni con disturbi del neurosviluppo; c) inclusione degli alunni con minorazioni visive e con pluriminorazioni; d) inclusione degli alunni con minorazioni uditive (sordi segnanti, sordi oralisti).

Solo cosi si colmerebbero i vuoti rilevati a causa dell’attuale genericità dei corsi polivalenti, ridotti a un solo anno, rispetto alla vecchia specializzazione monovalente che era biennale e più qualificata.

Per questo non crediamo che la soluzione agli attuali problemi inclusivi del nostro sistema scolastico possa essere l’istituzione della cattedra mista.

La formazione

Abbiamo poi il tema della formazione. Su tale punto si ritiene incredibile, per alcuni aspetti, il rifiuto delle organizzazioni sindacali all’effettuazione dei corsi di aggiornamento obbligatorio in servizio per i docenti supplenti nominati su posto di sostegno senza specializzazione, data, come detto, l’endemica carenza di docenti specializzati.

Le organizzazioni sindacali chiedono che le modalità di svolgimento dei corsi, già finanziati dall’ultima legge di bilancio, debbano essere oggetto di negoziazione sindacale, come per legge. Concordo pienamente. Se però ciò è motivato dal rifiuto di svolgere le 25 ore di formazione al di fuori dell’orario del servizio e per giunta con l’esonero dalle lezioni, allora, mi spiace, ma non posso che essere in disaccordo. Questi supplenti, infatti, devono essere “di sostegno” all’inclusione scolastica degli alunni e delle alunne con disabilità, ma come possono farlo se sono essi stessi ad avere bisogno di “sostegno”, data la loro totale impreparazione in proposito?

Di questo ha bisogno la nostra scuola per garantire a tutti i nostri alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità un diritto costituzionale quale quello dell’istruzione e della formazione. Quindi, tornando alla domanda iniziale, cosa è giusto fare per migliorare l’inclusione scolastica nel nostro Paese? Meglio istituire una cattedra mista o una apposita classe di concorso per il sostegno?

Bisogna saper scegliere da che parte sta la “ragione”.

Per me, per Fish e per il movimento associativo che si riconosce nella Federazione, senza ombra di dubbio, sta dalla parte degli alunni e alunne, studenti e studentesse con disabilità, dalla parte delle loro famiglie. A loro occorre garantire un reale sistema inclusivo che formi i “nostri” alunni e i “nostri” studenti, con buona pace di coloro i quali, seppur sostenuti, sembrano fare di tutto per usare impropriamente il sostegno per passare su cattedra comune e quindi semplicemente “sfuggire dal sostegno”.