Fonte www.vita.it - Da Fondazione Dopo di Noi a Fondazione Durante e Dopo di Noi, con la trasformazione in Ente filantropico e un nuovo Statuto che prevede espressamente per il futuro, oltre alla presa in carico delle persone con disabilità orfane o i cui genitori sono divenuti anziani, anche la presa in carico degli stessi genitori. È quanto è stato annunciato sabato 27 marzo nell’ambito del convegno online per celebrare i 63 anni di attività di Anffas, seguito da oltre mille partecipanti. «Cambia la denominazione perché con l’innalzamento dell’età il fenomeno di genitori anziani con figli con disabilità adulti è da tempo evidente: quello che prima era il Dopo di Noi, adesso è il Durante noi», spiega Roberto Spaziale, presidente nazionale di Anffas. L’associazione è nata 63 anni fa da un nucleo di famiglie giovani, tanto è che allora nel nome c’erano i fanciulli: oggi nella base associativa di Anffas ci sono molti genitori grandi anziani, insieme a figli adulti. «Genitori che hanno essi stessi la necessità di avere attenzioni, supporto, servizi: abbiamo pensato di dover a questa nuova domanda», sottolinea Speziale. Che significa, concretamente? «La possibilità di avere supporto e sostegni per mantere la propria qualità di vita al domicilio assieme al figlio, nella massima misura possibile. E dove ci dovesse essere necessità di una soluzione alternativa, creare condizioni per cui il genitore anziano e il figlio possano trovare all’interno di Anffas idonee soluzioni che garantiscano soddisfacimento dei loro desideri e aspettative. L’elemento centrale diventa questo: non aspettare mai il momento emergenziale, quello che alla fine porta ad accettare il classico “posto letto libero”, ma pianificare un percorso di vita in cui le soluzioni siano quelle più idonee a garantire qualità della vita sia alla persona con disabilità sia ai nostri genitori anziani. Abbiamo già esperienze consolidate, per esempio Anffas Cento in prossimità della casa famiglia per il Dopo di noi ha realizzato 4 miniappartamenti dove vivono quattro mamme in autonomia, a distanza di pochi metri dai figli, godendo tutti di tutta la copertura dei servizi H24 garantita dalla struttura. Prima di questa soluzione c’è ovviamente l’attività del supporto domiciliare. Le mamme che sentono di non farcela più, avendo invece un giusto aiuto per poter continuare ad occuparsi del figlio ritrovano serenità: in particolare sapere che nessuno le staccherà dai figli crea una condizione di benessere. La scelta ha avuto un grandissimo apprezzamento nella nostra base associativa», conclude Speziale.

La scelta è anche «un messaggio forte alle giovani famiglie, perché ci siamo resi conto che i percorsi di potenziamento delle autonomie, di abilitazione e di distacco progressivo vanno realizzate in modo molto precoce proprio per preparare le persone con disabilità a percorsi di vita indipendente, cosa che agevola poi piano piano anche il dopo di noi».

Durante l’incontro è stata presentata anche una indagine svolta da Anffas Nazionale al proprio interno per rilevare lo stato di attuazione della legge 112/2016 sul Dopo di Noi, in attesa della terza Relazione al Parlamento. Sono ancora molti i punti da risolvere. L’indagine – svolta da febbraio a giugno 2020 – ha coinvolto 129 realtà in 16 regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Sicilia, Abruzzo, Marche, Piemonte, Liguria, Puglia, Friuli V.G., Toscana, Calabria, Campania, Lazio, Sardegna, Trentino), raccogliendo di fatto le storie e le esperienze di 962 persone della rete Anffas coinvolte in progetti di Dopo di Noi: un dato abbastanza significativo se rapportato con il dato presente nella seconda relazione al parlamento sullo stato di attuazione della legge 112/2016 in cui al 31/12/2018 si individuavano in 5.879 persone i destinatari finali della misura.

«Le nostre persone e le nostre famiglie hanno pienamente dimostrato quello che da sempre Anffas afferma, ossia che il Durante Noi, Dopo di Noi non è un traguardo irraggiungibile e non è qualcosa di irreale: è qualcosa di assolutamente possibile se tutti fanno la propria parte e se le normative non rimangono su carta ma vengono invece concretamente applicate», sottolinea Speziale. La legge 112/2016 è ancora lontana dall’essere applicata e rispettata. Innanzitutto nel 33% dei casi le strutture hanno segnalato di avere avviato delle progettualità indipendentemente dalle risorse messe in campo dalla legge 112/2016: una su due ha successivamente provato ad accedere ai finanziamenti, non riuscendoci nel 18% dei casi. «Una situazione che purtroppo evidenzia un sistema pubblico ancora farraginoso», afferma Speziale.

Il 53% delle strutture ha rilevato inoltre difficoltà nell'attivare le progettualità con gli enti pubblici dovute ad esempio alla scarsa conoscenza della norma da parte degli enti preposti alla sua attuazione e poca collaborazione/volontà degli da parte di essi di sperimentare soluzioni innovative per favorire l’ottimale funzionamento della norma, riconducendo anche i nuovi interventi secondo vecchie logiche. «È emersa una diffidenza delle famiglie rispetto a un fondo nazionale finanziato di anno in anno, che dà la percezione che il percorso si possa interrompere per mancanza di risorse: la richiesta è quella di una garanzia di continuità nel tempo, sia dal punto di vista economico sia come progetto di vita. L’altra questione è la richiesta di modificare la legge 112 affinché consenta di poter vivere a casa propria, senza necessariamente dover attivare una coabitazione con altre persone, dal momento che i percorsi in comune non sempre sono perseguibili facilmente, ad esempio con l’autismo. Il terzo punto è la scarsa conoscenza degli strumenti di protezione e destinazione del patrimonio… per cui un’altra proposta è quella di ampliare le agevolazioni ad altri strumenti per esempio per l’assunzione di un caregiver o di un assistente personale», conclude Speziale.