Fonte www.lombardiasociale.it - Tutelare la fragilità. È possibile che l’unica soluzione sia l’isolamento? Come riaffermare il valore sociale della cura delle persone più fragili in questo tempo di Covid? Per non cadere in errori già fatti e ripensare i servizi nella complessità della situazione in cui ci troviamo, apprendimenti e riflessioni dall’esperienza di una struttura residenziale per persone con disabilità gravi in provincia di Milano.

L’anno 2020 sarà ricordato a lungo. All’improvviso, in poche settimane, la vita delle nostre comunità per persone con disabilità è stata stravolta e abbiamo iniziato a fare i conti con questo nemico invisibile. Siamo stati messi duramente alla prova, alcuni purtroppo non ce l’hanno fatta. Ma abbiamo reagito e a poco a poco è nato un nuovo equilibrio. La pandemia ha smosso e continua a smuovere numerose riflessioni. In questo contributo, alcuni pensieri a partire dall’esperienza vissuta presso la RSD Parolina di Cernusco sul Naviglio, comunità per 37 persone con disabilità gravi di cui sono Responsabile.

La tutela della fragilità
Una delle funzioni a cui assolvono i servizi sociosanitari è relativa alla tutela della salute. L’esperienza del Covid ha improvvisamente acceso i riflettori (anche mediatici) su questo aspetto e in modo pressoché unanime ci si è orientati su una modalità di prevenzione del rischio di contagio che prevede l’isolamento fisico come strumento indispensabile. Tutti gli atti normativi e le raccomandazioni (DPCM, Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute, Ordinanze Regionali, DGR …) hanno accomunato diverse tipologie di condizioni individuali (persone con disabilità, anziani, minori, salute mentale) in un unico capitolo, che oltre alle misure generali di prevenzione, hanno introdotto una precisa norma: evitare il contatto con l’esterno, cioè con chiunque ti può contagiare.

Ma … come tutelare un altro bisogno fondamentale, la relazione con i propri cari, senza compromettere la stessa vita? Abbracciare un familiare infetto infatti può essere una condanna.

Forse è opportuno provare ad argomentare meglio questa condizione di fragilità, provare a descriverla, specificando i tratti specifici, a raccontarla in modo più preciso oggettivando i problemi, con i rischi e le possibilità. Solo così possiamo evidenziare le differenze esistenziali e di cura tra una persona anziana, con disabilità, minore …. ma anche trovare delle assonanze, delle similitudini.

Dico questo perché dove l’identità della persona e dei relativi confini di cura non sono definiti, è facile la manipolazione. E forse, in questi anni, non siamo stati capaci – come “servizi” – di evidenziare con precisione l’identità di una persona con disabilità rappresentando in modo oggettivo tutti i sui bisogni specifici. E di fronte alle regole, giuste nei principi, non abbiamo la forza progettuale per trovare altre soluzioni.

Fino ad oggi noi abbiamo un po’ dato per scontata la salute fisica perché l’obiettivo era – “nonostante le fragilità” – lavorare il più possibile sull’inclusione, sul poter fare delle attività, delle esperienze. Esplorare i limiti della partecipazione sociale …….

Il Covid ci ha di colpo restituito un’immagine più oggettiva della fragilità della salute per le persone con disabilità complessa. Ci è data la possibilità di osservare quello di cui ci occupiamo quotidianamente alla luce di un rischio sanitario collettivo. Le statistiche dicono che è più facile contagiarsi con il Virus in presenza di patologie pregresse: le persone con grave disabilità sono la somma di più fragilità! Epilessia, disfagia, disturbi metabolici, invecchiamento precoce, i danni epatici derivati dall’assunzione per lunghi anni di politerapie.

Quindi, in conclusione, dobbiamo mettere al centro del nostro intervento la tutela di questa condizione di fragilità considerando tutti i fattori che ruotano intorno alla vita di una persona con disabilità.

Per continuare a leggere l'articolo completo è possibile cliccare qui