albero isolatoUno studio dimostra la facilità delle famiglie che hanno un familiare con una malattia rara, a cadere sotto la soglia della povertà

Tratto da: Agenzia Dire www.dire.it - Il 37% delle famiglie con un malato raro ha bisogno di aiuto: nel 90% dei casi la patologia influisce negativamente sull'impiego dei genitori e nell'83% bisogna affrontare un viaggio per le cure

Difficoltà nel fare fronte alle cure mediche, problemi a mantenere il lavoro, aggravamento delle condizioni economiche, se non proprio indebitamento e caduta sotto la soglia di povertà. Sono tanti i cambiamenti che una famiglia con un malato raro deve affrontare, soprattutto se si tratta di un bambino. A dimostrarlo è uno studio pilota, presentato a Roma dall'Isfol nel corso del convegno "Costi sociali e bisogni assistenziali nelle malattie rare". Lo studio è stato condotto dall'Istituto per gli Affari sociali (Ias), in collaborazione con la Federazione italiana malattie rare Uniamo-Fimr Onlus, Orphanet-Italia e Farmindustria.

Dal rapporto di ricerca, che analizza seicento questionari distribuiti a undici associazioni di malattie rare e alla Fondazione Irccs Istituto neurologico "Carlo Besta", emerge che le famiglie che assistono un malato raro hanno decisamente bisogno di sostegno. Sono molti, infatti, i problemi che si trovano ad affrontare, alcuni direttamente legati alla patologia, altri alle sue conseguenze. L'assistenza di un malato raro, per esempio, può comportare evidenti limitazioni nell'ambito lavorativo: la patologia, infatti, nel 90% dei casi incide in modo negativo sull'attività del padre o della madre. Questo è rilevante soprattutto quando si tratta di pazienti pediatrici. Lo studio ne prende in considerazione un totale di 189: dai dati emerge inoltre che in 74 famiglie (pari al 39% dei casi) entrambi i genitori sono costretti a limitare o a interrompere la propria attività lavorativa.

Per le famiglie, inoltre, è necessario ricorrere al sostegno esterno e il 37% dichiara di aver bisogno di aiuti non finanziari. L'aiuto si renderebbe necessario, ad esempio, per l'accesso ai centri clinici di riferimento: nell'83% dei casi, i pazienti devono raggiungerli effettuando spostamenti più o meno lunghi, che comportano la necessità di affrontare spese di viaggio e talvolta di pernottamento, ma anche investimenti in termini temporali. Solo il 17%, infatti, ha il centro clinico nella propria città di residenza, mentre il 40% deve spostarsi addirittura in un'altra regione. Senza contare poi che, nonostante l'impegno profuso in questi anni dal Sistema sanitario nazionale per la costituzione di una rete di centri clinici specializzati e l'importante azione di informazione da parte delle associazioni, esiste ancora un 9% del campione che non ha individuato un centro clinico di riferimento e un 20% che non ha alcun referente territoriale (medico di famiglia, psicologo, associazione).

Tuttavia, il 92% di coloro che si rivolgono al referente territoriale si dichiara soddisfatto o più che soddisfatto, in quanto questo soggetto offre al paziente un sostegno immediato e facilmente accessibile nelle difficoltà quotidiane.

20 dicembre 2010

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