Superabile.it - “Mio fratello frequenta il centro diurno di Crespellano da 20 anni. Si trova molto bene: fa piccoli lavoretti, apparecchia la tavola. Gli piace anche uscire a bersi un caffè. Ama il caffè. Questa è la sua routine: come possono pensare di levargliela senza che lui ne subisca le conseguenze?”. Massimo Zacchi è fratello di Paolo: Paolo ha 49 anni ed è una persona con disabilità, vive su una sedie a ruote e ha bisogno di aiuto per fare qualsiasi cosa. Paolo da 20 anni frequenta il centro diurno e da una decina vive in un centro residenziale: “Non è stato facile prendere questa decisione. Ma nostra mamma è anziana, io ho un lavoro, e non potevamo più prenderci cura di lui in maniera adeguata – continua Massimo –. Non è felice di stare al centro residenziale, mentre al diurno ci va con il sorriso sulle labbra: si è molto affezionato agli educatori”.

Paolo è una delle 8 persone (uomini e donne tra i 30 e i 50 anni) alle quali è stato comunicato che non potranno più frequentare uno dei tre centri diurni del distretto socio sanitario di Casalecchio di Reno. Perché? “Sono stati addotti motivi economici – spiega Gabriella Romagnoli, presidente della sede bolognese di Anffas, l’associazione che ha lanciato l’allarme –. Ci hanno detto che i ragazzi ‘rimossi’ faranno spazi a nuovi inserimenti. Abbiamo chiesto di vedere la lista d’attesa, ci è stata negata. Ammesso che davvero ci sia molta richiesta per il centro diurno, la soluzione non può essere spostare le persone come fossero numeri a seconda di come fa comodo, ma rendere disponibili più strutture”. Le rette degli ospiti dei centri residenziali e diurni sono sostenuti da Asc (l’ente pubblico per la gestione dei Servizi alla persona dell’Unione Valli del Reno, Lavino e Samoggia) e Comuni, con la compartecipazione delle famiglie in base all’Isee della persona con disabilità (le famiglie arrivano a pagare anche 500 euro al mese). Secondo le stime di Anffas il risparmio economico di questo taglio sarebbe di circa 50 mila euro all’anno: “Una cifra talmente esigua da essere ridicola”, commenta Romagnoli.

Come detto, sono tre i centri diurni interessati: il Domino di Crespellano (che segue una dozzina di persone); il Modiano di Sasso Marconi (una quindicina); la Quercia di Zola Predosa (una dozzina). Sul totale, sono 8 le persone individuate perché non lo frequentino più: “Loro 8 sono gli unici che non vivono in famiglia ma nel centro residenziale Casa di Remo di Zola Predosa – continua Romagnoli –. Secondo Asc e Comune, responsabili di questa decisione, visto che stanno in una struttura residenziale possono anche evitare di occupare posti al diurno. Ma si rendono conto che privarli del centro diurno equivale a recluderli 24 ore su 24 nella stessa sede? A noi questa dinamica ricorda le vecchie strutture manicomiali che, lo ricordiamo, sono bandite in Italia da oltre 35 anni”. Le fa eco la zia di una delle ragazze interessate: “Per loro equivarrebbe alla morte sociale: l’alienazione totale”. Familiari e Anffas sottolineano come le due strutture svolgano funzioni complementari ma ben diverse: quelle diurne, forti della loro missione socio-riabilitativa, favoriscono e incrementano lo sviluppo di nuove competenze, l’allenamento e il mantenimento di quelle già possedute, la socializzazione, la cura di sé e l’inclusione sociale. “Privare ora queste persone di quella che è a tutti gli effetti la loro routine giornaliera cancellerebbe moltissimi di questi passi avanti, oltre a costituire la perdita di diritti faticosamente conquistati, peraltro sanciti anche dall’articolo 14 – progetti individuali per le persone con disabilità – della legge quadro 328 del 2000”, cita Romagnoli. Di fronte alle proteste dei familiari, per il momento i tagli sono stati congelati: “Hanno parlato di uscita graduale e valutazioni multidimensionali caso per caso. La domanda è: perché non ci hanno pensato prima? E poi, come può essere una valutazione a decidere se mio figlio ha o meno il diritto di frequentare il centro?”, si chiede la presidente.

“Io sono stato convocato ad agosto – racconta Massimo Zacchi –. Mi hanno comunicato che da ottobre mio fratello non avrebbe più potuto andare al diurno. Gli ho risposto che non se ne parlava. Ci hanno detto che i nostri figli e fratelli saranno al centro di un nuovo progetto che prenderà vita presso la struttura residenziale. Gli spazi non ci sono, non fanno che passare dal letto alla tavola. Non solo: è da un anno che aspettiamo un fisioterapista, che per legge dovrebbe essere presente in tutti i centri residenziali. E c’è solo una infermiera a cui sono state tagliate le ore di servizio: ora ne fa 13. Come possono pensare che ci crediamo?”.

L’accusa di Anffas è precisa: “Le istituzioni non sono mai intervenute. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che tutte le scelte sono fatte a svantaggio delle persone con disabilità. In ogni distretto socio sanitario della regione le cose funzionano in un modo diverso. Anche tra Casalecchio e Bologna: ma allora che senso ha la Città metropolitana?”, ragiona Romagnoli, che cita un altro dato: “Le persone con disabilità intellettiva e relazionale che vivono in strutture residenziali quando compiono 65 anni sono di default spostate nelle case di riposo. Come se fosse la stessa cosa: ma così ci guadagnano, perché costano la metà”, e ammonisce: “È una vita che facciamo battaglie, non ci fermeremo di certo ora. Non è facile portarle avanti: quant’è facile, invece, tornare indietro”.

 

08 novembre 2016