Superabile.it - Ahmed è la prova che tutto può succedere: per lui la disabilità, drammaticamente piombata nella sua vita quando aveva solo dieci anni, ha segnato l'inizio di una nuova vita. Una vita ricca e bella, a giudicare dal sorriso con cui si presenta, all'ingresso della Fondazione Santa Lucia di Roma. Marocchino, 34 anni, in Italia dal 2006, Ahmed Raourahi è una punta di diamante della squadra di basket in carrozzina più temuta della serie A1: un bottino di 21 scudetti, 3 Coppe campioni, 12 Coppe Italia. Dalla sua storia prende le mosse l'inchiesta pubblicata sul numero di giugno della rivista SuperAbile Inail.

La palestra è tirata a lucido. Ahmed si muove come in casa propria, governando la sua sedia a ruote con l'unico braccio che gli è rimasto. L'altro gliel'ha portato via un treno: lo stesso che lo ha lasciato senza gambe, ripartendo dalla stazione proprio nel momento in cui lui cadeva sui binari. Colpa di un borseggiatore a bordo di una carrozza molto piena, dove da bambino era salito per accompagnare il padre, commerciante, a vendere la merce al mercato. Però quel giorno ci era andato senza il suo permesso. E il padre seppe solo più tardi cosa fosse capitato al figlio: "Mi risvegliai all'ospedale, circondato dai medici. Mi pareva di essere in un sogno". Ma, come in un incubo, aveva perso tre arti su quattro. Era il 1990, a un centinaio di chilometri da Tangeri. Ospedale, riabilitazione, poi il ricovero - voluto dal padre - in una comunità per persone disabili. E lì, quasi per caso, così per gioco, l'incontro con il basket.

Ma il gioco si fa serio, Ahmed si rivela talentuoso: nel 2003 è proprio il basket a portarlo in Italia, reclutato dalla squadra di Treviso. E Ahmed diventa un immigrato. Immigrato disabile. Oggi è sposato, vive a Treviso ma durante il campionato si trasferisce a Roma, perché ormai gioca in serie A, nella squadra della Fondazione Santa Lucia. "Mi trovo bene e l'essere straniero non mi ha creato nessun problema. In Italia ho trovato subito una grande gentilezza". Forse perché gli mancano un braccio e due gambe: lo straniero fa paura e suscita diffidenza, ma non certo in quelle condizioni. "Sì, forse è per questo", ammette Ahmed ridendo.

Tuttavia Ahmed è ben consapevole di essere un'eccezione, non la regola: gli immigrati con disabilità, in Italia, non stanno tutti bene come lui. Soprattutto, non sono conosciuti e supportati come lo è lui, arrivato in Italia con un permesso di soggiorno per sport, poi rinnovato per ricongiungimento familiare, dopo il matrimonio con un'operatrice socio-sanitaria conosciuta a Treviso, nella comunità in cui viveva. Ora cittadino italiano, titolare di pensione d'invalidità e con la casa fornita dalla squadra, che gli assicura anche "qualche rimborso". La pensione, però, i primi due anni non l'ha avuta, perché "con il permesso di soggiorno per sport non mi spettava», racconta. Eppure la sua disabilità non può sfuggire a nessuno. E per questo «anche le visite di accertamento con la commissione dell'Inps sono state facili", racconta.

Ahmed vive di sport: la mattina si allena da solo, il pomeriggio con la squadra. Poi le partite, il campionato, le trasferte. È autonomo in tutto: guida, fa la spesa, cucina, passa da una carrozzina all'altra in un batter d'occhio. Si fascia il moncherino con i calzini, nello spogliatoio: "I miei compagni mi prendono in giro quando tiro fuori i calzini, io che non ho nemmeno una gamba. Ma poi, quando se li dimenticano, vengono a chiedermeli in prestito". Ad Ahmed la disabilità ha aperto la carriera sportiva e le porte dell'Italia. Lui ci ha messo, naturalmente, la capacità e la determinazione di saperla prendere nel verso giusto. "Le protesi alle gambe non le voglio, ci ho pensato: mi farebbero sentire davvero disabile, sarei lento nei movimenti, mentre con la carrozzina ormai sono decisamente agile".

Stranieri con disabilità: a caccia di numeri. Come Ahmed, però, ce ne sono pochi. Mentre tanti sono gli stranieri con disabilità che vivono in Italia. Quanti con esattezza non si sa: lo chiediamo all'Istat, ma la risposta è franca: "Dati su stranieri disabili non sono pubblicati". Qualche informazione ci arriva invece dal ministero dell'Istruzione (Miur). È infatti la scuola il settore in cui gli stranieri con disabilità - bambini, ovviamente - sono maggiormente "contati" e studiati. Le rilevazioni avvengono ogni anno e i dati sono quindi continuamente aggiornati. Così il ministero fornisce le ultime cifre sugli alunni stranieri disabili nelle nostre scuole, riportati nell'indagine, appena pubblicata, Gli alunni con cittadinanza non italiana, condotta dalla Fondazione Ismu. Nell'anno scolastico 2014/2015 gli alunni stranieri con disabilità certificata erano in totale 28.117, per lo più maschi (meno di 9mila le femmine). Rispetto all'anno precedente, si è registrato un aumento di quasi 1.500 unità. Sono tanti, quindi, sempre di più, gli studenti stranieri con disabilità, che rappresentano ben il 12% del totale degli alunni disabili certificati. E ci sono regioni, come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio, in cui uno studente disabile su cinque è di origine straniera. Questi numeri vanno però letti con la massima attenzione: lo raccomanda lo stesso ministero, nell'esaminare le possibili ragioni di questa crescita. Certamente è il segnale di una crescente integrazione sociale e della maggiore disponibilità degli studenti stranieri e delle loro famiglie a continuare gli studi: tanto che, seppure sia la scuola primaria a registrare i numeri più alti (11.864 alunni stranieri con disabilità, tra scuole statali e non statali), l'aumento più consistente si registra nella secondaria di secondo grado, dove si passa, in un anno, da 3.975 a 4.546 presenze. Il Miur però sospetta che l'aumento rilevato dall'indagine sia dovuto anche a un "eccesso di certificazione", per cui vengano classificati come disabili alunni che in realtà non lo sono e i cui problemi derivano solo dall'essere, appunto, stranieri. La presunta disabilità servirebbe insomma come "viatico", per ottenere un'attenzione in più di cui certamente questi bambini hanno bisogno, ma che diversamente farebbero fatica a ottenere. Un'ipotesi che il ministero si ripromette di verificare e approfondire. E su cui, quindi, al momento non possiamo dire di più.

Nella ricerca di cifre, ci viene poi in aiuto anche la Relazione al Parlamento sulla legge 68/99 (quella relativa al 2012-2013 è la più recente), con i dati sul collocamento mirato: si parla di 13.369 "cittadini extracomunitari" iscritti agli elenchi del collocamento obbligatorio. Certamente una minoranza, anche perché l'accesso a questo sistema di collocamento è riservato a chi ha un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno. Esclusi quindi i lavoratori stagionali, oltre naturalmente agli irregolari. Un altro indizio arriva dall'Inps: nel 2014, quasi 18mila cittadini non comunitari erano beneficiari di pensioni d'invalidità civile. Ma sono titolari di indennità. Un beneficio a cui non tutti possono accedere. Sono pochi dati, orientativi e tutt'altro che esaurienti: ci permettono però di dire che le persone con disabilità immigrate nel nostro Paese esistono e non sono poche. 

Le tutele tra teoria e realtà. Quali diritti e quali tutele la nostra legislazione offre a questi abitanti? Ci viene in soccorso la Fish, con la ricerca Migranti con disabilità. Conoscere il fenomeno per tutelare i diritti, a cura di Daniela Bucci, Carlo Giacobini, Giovanni Merlo e Matteo Schianchi. L'assistenza sanitaria, riabilitativa e protesica spetta a tutti i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia (inclusi coloro che sono in via di regolarizzazione), che hanno contemporaneamente l'obbligo di iscrizione al Servizio sanitario nazionale e il diritto alla "parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani". La tutela della salute spetta anche agli immigrati irregolari, a cui "sono assicurate, nei presidi pubblici e accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio".

In secondo luogo, il sostegno scolastico e il supporto educativo è un diritto che spetta a tutti gli alunni con disabilità, italiani o stranieri che siano. Esiste però una criticità: tutte le procedure necessarie per avere la certificazione indispensabile per accedere a questo servizio vanno concluse entro il 31 luglio dell'anno precedente la frequenza degli alunni interessati. Questa limitazione - osserva la ricerca - "comporta una grave difficoltà per le persone con disabilità che entrano nel ciclo di istruzione ad anno scolastico già iniziato". Infine, le prestazioni e i servizi sociali spettano ai cittadini stranieri, a condizione però che siano titolari di un permesso di soggiorno valido, di durata non inferiore a un anno; lo stesso vale per l'indennità di accompagnamento, la pensione di inabilità, l'assegno mensile di invalidità e l'indennità mensile di frequenza. Nessuna limitazione è prevista invece per i minori stranieri, che hanno diritto ad accedere ad accertamenti, prestazioni e servizi sanitari anche in assenza di iscrizione al Ssn.

Purtroppo, da una parte c'è il diritto, dall'altra la realtà: se le tutele esistono, averle è un'altra storia. Accedere a servizi, prestazioni e provvidenze è spesso complicato per gli italiani con disabilità, e l'impresa diventa ancor più ardua per gli stranieri. Burocrazia, ma anche isolamento sono gli ostacoli con cui si scontrano coloro che, come Ahmed, sono immigrati disabili. Ma, diversamente da lui, non hanno avuto la strada spianata da un talento sportivo d'eccellenza. Vincenzo Falabella, presidente della Fish, evidenzia: "La prima criticità emersa dalle nostre due ricerche è quella relativa ai dati. A oggi non abbiamo contezza di quante siano le persone con disabilità di origine straniera, migranti o di seconda generazione, presenti nel nostro Paese. In Italia è disponibile una solida letteratura scientifica tanto sul tema della disabilità quanto su quello delle migrazioni, ma abbiamo riscontrato una sostanziale carenza di studi e ricerche quando le due situazioni si intersecano".

Il secondo problema, che discende direttamente dal primo, è che "questo approccio a compartimenti stagni sembra riprodursi anche nella costruzione delle politiche e dei servizi, che stentano a garantire una presa in carico complessiva della persona con disabilità di origine straniera, con le molteplici istanze di cui è contemporaneamente portatrice. Il risultato è che le persone disabili migranti o di seconda generazione si trovano in balìa di una frammentazione dei punti di riferimento e di una scarsa conoscenza sul fenomeno: ciò mette a rischio il rispetto e l'esercizio dei loro diritti civili e sociali".

Accanto alla mancanza di conoscenza del fenomeno e alla conseguente inadeguatezza dei servizi, c'è il terzo problema, forse il più grave: quello dell'isolamento, evidenziato ancora da Falabella. "Le persone straniere con disabilità sembrano, in genere, gravitare al di fuori dei classici riferimenti sociali che caratterizzano sia le persone con disabilità sia quelle straniere, ossia le proprie comunità di riferimento. Contemporaneamente i rispettivi mondi associativi sembrano essere impermeabili a questa doppia condizione: le associazioni del mondo della disabilità non si occupano di persone straniere (con disabilità), le associazioni del mondo delle migrazioni non si occupano di persone con disabilità (straniere)".

Come rompere, allora, questa condizione di isolamento, in cui è alto il rischio che anche i diritti riconosciuti non vengano di fatto goduti? E che pure le minime tutele previste dalla legge non raggiungano, effettivamente, chi non sa reclamarle? "Bisogna operare in due direzioni - propone il presidente della Fish -: approfondire la conoscenza del fenomeno, a partire dall'identificazione e sistematizzazione dei dati di natura amministrativa, e favorire un'inedita e fattiva collaborazione tra chi si occupa di disabilità e chi di migrazioni, tanto a livello istituzionale quanto a livello associativo. Con lo scopo, comune e condiviso, di contrastare l'isolamento e l'emarginazione, per arrivare alle persone, che spesso non entrano in contatto con il mondo delle associazioni e dei servizi. Dobbiamo costruire reti sociali sul territorio attivando sinergie più strutturate, che vadano al di là della discrezionalità e della buona volontà del singolo operatore".

Quando il lavoro "fa male" allo straniero. C'è poi un'altra categoria di stranieri con disabilità, che più facilmente entra nel circuito dei servizi e delle tutele, perché prima ancora di essere "immigrati" e "disabili", sono lavoratori. Lavoratori infortunati. Come Saad Yadoughi, tunisino di origine, in Italia dall'inizio del 1990. Vive a Torino, Saad, 46 anni, con la moglie e due figli di 4 e 10 anni. Il 20 agosto del 2013, l'incidente che gli ha portato via la gamba destra: "Ero alla guida del camion, in autostrada. Era una giornata come tante, nessun pericolo particolare, né nebbia né pioggia. E avevo fatto la mia pausa di 45 minuti a Reggio Emilia". Era in sorpasso "quando l'auto davanti a me ha frenato improvvisamente, credo per far passare un animale. La cabina si è rotta, con me dentro. Si è capito subito quanto fossi grave: è arrivato l'elicottero e mi ha portato a Parma. Mi hanno messo in coma farmacologico perché non potevano operare subito. L'infezione dalla gamba è salita, hanno dovuto amputare sopra il ginocchio. Sono rimasto a Parma per due mesi, in coma farmacologico, poi mi hanno trasferito a Torino, dove sono stato ricoverato altri due mesi. Poi sono tornato a casa e finalmente, il 7 luglio 2014, sono arrivato a Budrio. L'azienda ha fatto quello che doveva fare, niente di più, niente di meno". Il resto lo ha fatto l'Inail di Pinerolo.

"E tutto è filato abbastanza liscio: ho trovato l'assistenza che mi serviva e mi hanno messo in piedi. Ricordo ancora l'emozione, quando dopo tanti mesi in carrozzina mi ritrovai dritto sulle mie gambe, grazie alla protesi. Mi sono visto altissimo! È stato davvero commovente". Saad si definisce "invalido, ma posso uscire, camminare e fare quasi tutto con i miei figli. Piano piano sento che sto venendo fuori dall'incubo. Non posso dire che la mia nazionalità straniera mi abbia creato difficoltà: i tempi lunghi e la burocrazia, questo sì, ma so che questo è un problema anche per gli italiani". È vero anche, però, "che sto in Italia da 26 anni, ormai mi sento italiano. Magari per uno straniero arrivato da poco sarebbe stato tutto più difficile: capire cosa fare, comprendere cosa gli veniva chiesto. Io oggi ringrazio per quello che ho".

Chiudiamo il cerchio e torniamo ad Ahmed, perché sia lui ad avere l'ultima parola: lui che ce l'ha fatta. Lui che, straniero e disabile, ha trasformato tanti possibili limiti in altrettante preziose risorse. A dimostrare che lo sport, ma soprattutto la determinazione di darsi una seconda possibilità, possono aprire le frontiere anche dove si innalzano muri. E che si può bucare il canestro anche con un braccio solo. Proviamo a rovinargli la festa, dopo l'allenamento in palestra e tanti tiri andati a segno. "Tu oggi sei fortunato, vivi di sport. Ma quando sarai troppo ‘grande' per giocare, cosa farai per vivere?". Il sorriso si smorza, ma solo per un attimo: "Vado a fare la doccia". Ci sono ancora tanti campionati da giocare. 

 

12 luglio 2016