Fonte www.disabili.com - A tanti anni di distanza dalle leggi che, pioniere in Europa, hanno sancito il principio dell'inclusione scolastica, continua il dibattito sull'opportunità o meno dell'esistenza delle scuole speciali, soprattutto per le situazioni di gravità.

Perché? I nodi delle problematiche appaiono quelli di sempre: le famiglie in grandissima maggioranza scelgono la scuola dell'inclusione, però lamentano l'esiguità delle risorse e di docenti in possesso di specializzazione, la carenza di assistenti, il numero insufficiente di ore assegnate, l'inadeguatezza delle strutture o la mancanza di attrezzature. La scuola inclusiva, dunque, sembra sempre arrancare e spesso i migliori risultati si ottengono grazie alla buona volontà di tutti, al clima positivo e non, invece, all'ineccepibilità delle misure attivate. Così non manca chi, soprattutto in presenza di situazioni di gravità, decida di fare una scelta radicale, preferendo iscrivere i figli alle scuole speciali, dove forse possono trovare strumenti più diffusi.

Il prezzo da pagare è alto, è quella socialità sempre al centro delle pratiche inclusive, è la frequentazione dei pari, la condivisione dell'infanzia o dell'adolescenza. Chi fa questa scelta lo sa; eppure non manca chi arriva ad essa.

Appaiono interessanti le recenti riflessioni in merito di G. Merlo (LEDHA) e T. Nocchetti (Tuttiascuola). G. Merlo sostiene che sono i bravi insegnanti a fare la differenza, a consentire alla nostra scuola di essere modello di inclusione. Ciò non basta però. Se oggi siamo arrivati finalmente ad elevare sensibilmente il numero delle cattedre, a mancare sono ancora gli insegnanti specializzati, sempre insufficienti, in tutta Italia. Così si continuano ad assegnare i posti a docenti non specializzati e precari, in ritardo, a singhiozzo, seguendo logiche di graduatorie da cui si può nominare fino ad avente diritto, che significa fino a quando le graduatorie non saranno aggiornate.

Il ricambio dei supplenti, insomma, continua ovunque. T. Nocchetti ha invece scritto una lettera accorata al presidente della Repubblica Mattarella, in cui afferma che la cosiddetta 'buona scuola' per gli oltre 235.000 alunni con disabilità italiani non è ancora cominciata. I corsi di specializzazione dopo tanti anni sono finalmente ripartiti, ma il numero dei docenti che otterranno il titolo sarà assolutamente insufficiente.

La verità - afferma Nocchetti - è che a questa politica la disabilità non piace, non piace perché è scomoda, è improduttiva, è costosa. A ciò si aggiunge il problema della composizione delle classi, che continuano ad essere troppo numerose, ma anche quello della qualità della formazione, sulla quale mancano politiche di investimenti.

Il modello inclusivo italiano, insomma, continua ad essere eccellente solo sulla carta e così non mancano le famiglie che scelgono ancora le scuole speciali. Solo in Lombardia ci sono 16 plessi speciali frequentati da circa 900 studenti con disabilità. Può accadere, quando la scuola non include, quando non sa prendere in carico le situazioni, quando le famiglie si sentono abbandonate. Così la scuola speciale può apparire come quella in grado di dare ai ragazzi ciò di cui hanno bisogno. Certo, può anche darsi che in qualche caso ciò accada, se pensiamo in termini di assistenza.

Però le scuole speciali non possono dare il riconoscimento sociale, la cittadinanza, la relazione. La via da percorrere, sottolinea Merlo, è quella dell'inclusione, per quanto sia piena di salite e di ostacoli. I bambini con disabilità devono andare a scuola con gli altri e dobbiamo essere orgogliosi che questo in Italia accada nella maggior parte dei casi.

Chi scrive* ricorda bene le scuole speciali, quando esse erano ancora un modello diffuso e ne affida l'opinione a un ricordo doloroso: la mattina i genitori preparavano le bambine. Eravamo in quattro. Arrivava un pulmino bianco. Due bambine prendevano quel pulmino. I vicini lo chiamavano il 'pulmino degli handicappati'. Io restavo in silenzio, osservavo il pulmino bianco che si allontanava. Poi io e l'altra bambina prendevamo il pulmino giallo.

*Articolo di Tina Naccarato

9 ottobre 2015