Fonte www.west-info.eu - Per non correre il pericolo di discriminare anche solo a parole, è meglio non usare i termini: disabile/inabile, portatore di handicap/handicappato, diversamente abile/diverse abilità, preferendo, invece, l'espressione "persona con disabilità".

Anche "immigrato" sarebbe da evitare, visto che si rischia di attribuire un'etichetta che diviene permanente anche quando ormai la fase di ingresso è del tutto superata. Banditi anche "extracomunitari" e "nomadi". Il primo perché, sebbene nasca con accezione neutra, ha acquisito valenza semantica escludente (il prefisso "extra" esprime un'esclusione) e indica persone provenienti da paesi poveri, enfatizzando l'estraneità all'Italia e all'Europa, non si utilizza infatti per indicare persone di cittadinanza statunitense, svizzera ecc. Il secondo in quanto viene erroneamente attribuito alle comunità rom, sinte e camminanti, ormai pressoché stanziali ed è la versione politicamente corretta del termine "zingaro".

Anche rispetto al genere, bisogna fare attenzione a come utilizziamo il linguaggio: da evitare il ricorso al maschile inclusivo. Meglio specificare il femminile. Ad esempio, mai dire "… interventi previsti per i disoccupati…", ma utilizza una delle espressioni alternative:

• disoccupati e disoccupate (specifica il genere);

• persone disoccupate (oscura i generi con perifrasi);

• popolazione disoccupata (utilizza nomi collettivi).

Sono solo alcune delle indicazioni contenute in uno studio curato da tre ricercatori dell'Isfol, che ha lo scopo di offrire un contributo alla questione dell'uso appropriato delle parole, quando riferite a persone e gruppi sociali posti ai margini e spesso bersaglio di pregiudizi e stereotipi. In particolare il lavoro si rivolge a tutte quelle amministrazioni pubbliche o istituzioni titolari di Programmi Operativi di Fondo Sociale Europeo che redigono avvisi pubblici per la cittadinanza.

22 dicembre 2014