Il fatto che una persona con disabilità abbia la necessità di essere accolta in un struttura residenziale a causa dell'invecchiamento e affaticamento, della malattia, della morte dei genitori, non può comportare una penalizzazione dei suoi diritti ai livelli essenziali di assistenza, subendo un'azione discriminatoria rispetto a chi una famiglia ancora ce l'ha.

Per questo motivo le associazioni Aias S. Bortolo, Anffas, Aquilone 2004, Autismo Triveneto, Nuovo Ponte, Primavera '85, H '81 Insieme, Genitori de' La Nostra Famiglia, hanno dato incarico agli Avv.ti Andrea Berto, Stefania Cerasoli e Roberto Coeli a procedere per impugnare avanti il TAR Veneto i provvedimenti deliberati dalla Conferenza dei Sindaci che, a partire dal prossimo dall'1 Novembre u.s., prevedono la dimissione dai Centri diurni delle persone con disabilità utenti del Servizio Residenziale in via permanente (quindi ospiti di comunità alloggio) a causa della riduzione di 1,6 milioni di Euro del Fondo per la non autosufficienza da parte della Regione Veneto.

I provvedimenti, infatti, sono palesemente illegittimi. In primo luogo perché posti in essere in violazione di quanto stabilito dalle Convenzioni vigenti tra l'ULSS n. 6 e gli enti gestori aventi ad oggetto la "gestione del servizio residenziale in favore di persone con disabilità", dove espressamente prevedono che ogni modifica del progetto individuato, e individuale, necessariamente dovrà derivare da una nuova UVMD.

A tale proposito si evidenzia che già in un primo caso la UVMD, effettuata lo scorso 10 ottobre su una persona con disabilità ricoverata in struttura, ha dichiarato con chiarezza che una "rimodulazione delle attività diurne" comporterebbe, per la persona con disabilità interessata, la caduta della qualità del progetto ad oggi adottato nel suo interesse con inevitabile pregiudizio dell'equilibrio psico-fisico della stessa.

I provvedimenti sono, inoltre, illegittimi in quanto posti in essere in violazione di molteplici norme del diritto internazionale ed in particolare della Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ove negare il diritto a frequentare il Centro diurno significa negare quel supporto allo sviluppo o al mantenimento delle autonomie delle persone con disabilità che attualmente rappresentano lo strumento più importante di contrasto dei processi di emarginazione ed istituzionalizzazione che la convenzione impone.

La promessa (da parte della Conferenza dei Sindaci) "organizzazione di nuove progettualità diurne direttamente dalla struttura residenziale di appartenenza della persona con disabilità", oltre ad essere del tutto inattendibile, non è comunque minimamente paragonabile all'attività garantita nei Centri Diurni.

Le comunità alloggio, infatti, non rispondono, né logisticamente né strutturalmente, alle necessità essenziali di esercizio delle attività diurne per molteplici ragioni. Prima fra tutte perché hanno una diversa finalità rispetto al centro diurno e non dispongono quindi del rapporto numerico operatori/utenti che permetta una corretta ed efficace organizzazione delle attività di istituto. E, infine, i provvedimenti sono illegittimi in quanto discriminatori ai sensi della Legge n. 67 del 21.03.2006 "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni".

Perché una persona con disabilità che gode di una quota di residenzialità dovrebbe essere trattata in modo diverso rispetto ad una persona con disabilità che può ancora contare sulla propria famiglia? Penalizzare le persone inserite in struttura residenziale significa compiere un'azione discriminatoria nei confronti di chi una famiglia ancora ce l'ha.

E se, come disse Mahatma Gandhi, "... la grandezza di una nazione ed il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui essa tratta gli animali...", che dire di un Paese che maltratta e toglie ogni dignità ai suoi "figli" più deboli?

4 novembre 2013