Fonte www.disabili.com - Sovente la sensazione é quella che la disabilità sia percepita, da chi non ne abbia diretta esperienza per familiarità o motivi professionali, come qualcosa di "difficile da maneggiare", con la quale può risultare non così semplice rapportarsi. Eccesso di zelo da una parte, ma anche talvolta paura al non sapere come muoversi. Ma una persona con disabilità non è altri che una persona, e come tale va considerata. In sostanza, è il buon senso il principale elemento per iniziare ad abbattere un bel po' di barriere.

A questo proposito, raccontiamo qui una vicenda accaduta un paio di settimane fa in un campo di calcio. Pochi giorni fa alla Friends Arena di Solna si è giocata una partita, ma non una qualsiasi, bensì la qualificazione ai Mondiali di calcio del 2014 che si terranno in Brasile. Max, giovane mascotte di 8 anni, fa il suo ingresso in campo con la maglia della Germania (che si è aggiudicata la vittoria), per accompagnare in campo Kim Kallstrom, centrocampista dello Spartak Mosca, che gioca per la nazionale Svedese.

Max, come gli altri 22 bambini, è affetto dalla Sindrome di Williams, un raro disturbo dello spettro autistico che comporta grave difficoltà nel mantenere l'attenzione, nervosismo, inoltre l'iper stimolazione uditiva provoca effetti deleteri e incontrollabili. Immaginiamoci cosa possa aver scatenato nel piccolo il trovarsi in un uno stadio con circa altre 50mila persone, proprio al centro dell'attenzione poco prima del fischio d'inizio. Il piccolo Max inizia a innervosirsi, si sente spaventato e disorientato, l'emozione è troppo forte e sta per diventare insostenibile, ma il calciatore che è con lui se ne accorge, distoglie lo sguardo dai flash, dalle tribune e dal campo, e lo abbassa verso la sua piccola mascotte.

Kallstrom presta attenzione al bambino, si accorge che qualcosa non va e reagisce. Kim abbandona il ruolo del giocatore serio e concentrato per assumere quello di una qualunque persona dotata di buon senso: si china per abbracciare Max, lo rassicura e riesce a calmarlo, evitando così quello che poteva diventare un'esperienza traumatica per il bambino.

Emil, il padre di Max, ha ringraziato pubblicamente il calciatore con una lettera su Facebook: "Grazie al tuo comportamento mio figlio è riuscito a provare le stesse emozioni degli altri: orgoglio e la sensazione di essere speciale. Ti sto scrivendo perché non sono del tutto sicuro che tu abbia capito quello che hai fatto per noi. Martedì Max è riuscito a fare qualcosa di speciale: mantenere la concentrazione per 15 minuti senza alcun accenno di nervosismo".

Kallstrom risponde così: "Sicuramente sono molto contento che il padre di Max abbia apprezzato il modo in cui ho agito. Ma la cosa che mi rende più felice di tutte è che, nonostante Max fosse un pochino nervoso quando ci siamo avvicinati, siamo stati in grado di fargli vivere un'esperienza molto positiva".

Un gesto più che umano, naturale. Il fatto che la cosa abbia avuto una notevole eco mediatica, se da un lato denota una positiva attenzione verso una condizione di cui poco si parla, dall'altro lascia stupiti sul fatto che una reazione di questo tipo non sia così ovvia. La spontaneità e la gentilezza, gesti normali che non costano nulla ma significano tanto per chi li compie e chi li riceve, sono diventati addirittura commoventi, quando invece sarebbe più giusto considerarli scontati, se non dovuti, in una società tanto civile come la nostra.

Per una volta però, non sono i cori razzisti e la violenza negli stadi a fare notizia, bensì gesti di sportivi, ma soprattutto uomini, autentici.

4 novembre 2013