Fonte www.morningfuture.com - L’Italia, sull’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, è sulla strada giusta. Almeno dal punto di vista numerico. Sull’effettiva accoglienza di queste persone nelle aziende invece, al netto delle problematiche introdotte dalla pandemia, ci sono ancora alcuni passi da fare, come testimonia la ricerca dell’impresa sociale Dynamo Academy sul “Clima aziendale in relazione a diversità, equità, inclusione” co-progettata insieme ad Euromedia Research. Un lavoro che si è avvalso di 800 interviste a cittadini italiani maggiorenni con un’occupazione.

«La disabilità è un segmento cui porre grande attenzione quando si parla di diversity e inclusion», spiega Serena Porcari, presidente di Dynamo Academy, «avendo noi un’esperienza di inclusione grazie a Dynamo Camp (il primo camp di Terapia Ricreativa in Italia, che ospita gratuitamente bambini e ragazzi affetti da patologie gravi o croniche) abbiamo voluto concentrarci sull’inclusione della disabilità, definitiva o momentanea che sia».

Dalla ricerca è emerso che «l’Italia è un Paese inclusivo in termini generali ma che chi soffre di qualche patologia o disabilità percepisce un elevato livello di isolamento», sottolinea la presidente.

Lo scenario italiano

Il quadro complessivo infatti, riferendosi alle aziende, parla di ambiente non razzista (78.4%), non sessista (73,9%), non omofobico (73,9%), rispettoso (72,6%), non discriminato sulla base anagrafica (70%), e un clima ospitale (70,4%), amichevole (68,5%), supportivo (61,1%), collaborativo (62,9%), eterogeneo (58,9%), cooperativo (58,1%) ed egualitario (57,7%). Tutto bene? Non proprio. Emergono infatti due dati  in controtendenza: il 39,7% delle persone con una disabilità o una patologia non si sente valorizzato come individuo nella propria azienda e addirittura il 35,9% ha pensato di lasciare la propria azienda per episodi in cui si è sentito escluso o giudicato. «Due spie che ci indicano chiaramente come, seppur in un contesto tutto sommato non negativo, sia per la sensibilità delle persone sia per la buono qualità degli obiettivi fissati delle nostre normative, la strada da fare sia ancora molto lunga», aggiunge Porcari.

Il Covid naturalmente ha complicato il quadro. Prima di questo annus horribilis infatti l’inserimento al lavoro delle persone con disabilità era in miglioramento, anche se a una velocità ancora molto limitata. Gli ultimi dati ufficiali, quelli della IX Relazione di Ministero del Lavoro e Inapp aggiornati al 2018, infatti, evidenziavano una crescita sia delle iscrizioni all’elenco del collocamento mirato, arrivato a quota 900mila tre anni fa (oggi oltre un milione), sia delle assunzioni: ben 62mila nel 2018.

Al di là delle forti differenze territoriali tra Nord e Sud Italia, la relazione poneva in evidenza l’effetto positivo congiunto di nuovi obblighi normativi (assunzione anche nelle aziende tra 15 e 35 dipendenti), incentivi contributivi e la possibilità di chiamata nominativa prevista dal Jobs Act.

Le prospettive future

Per Porcari, «il punto ora è chiedersi cosa fare. La soluzione come sempre passa dai temi della formazione e dalla condivisione del problema. Quello che pensiamo come Dynamo Academy è che oltre a workshop e seminari, uno degli strumenti più potenti siano le testimonianze dirette. Tutte le volte che abbiamo portato esperienze concrete e dirette di ragazzi diventati uomini e donne che hanno affrontato la vita e i contesti lavorativi pur avendo disabilità e patologie abbiamo fatto la differenza e cambiato il punto di vista delle persone.»

Sulla stessa linea d’onda anche Vincenzo Falabella, presidente nazionale della Federazione Italiana per il superamento dell’Handicap – Fish, cui Anffas aderisce, che condivide il fatto che dal punto di vista legislativo molto sia stato fatto e gli strumenti per l’inclusione delle persone con disabilità esistano già. «È stato avviato negli anni un corposo confronto in materia di politiche attive del lavoro, prevedendo strategie atte a favorire il miglior funzionamento del collocamento mirato, come ad esempio il rafforzamento degli incentivi alle assunzioni, resi automatici; la definizione di linee guida di funzionamento dei servizi del collocamento mirato (ad oggi non ancora pubblicate); la creazione di una banca dati del collocamento mirato; l’inserimento dell’Inail nella rete del collocamento mirato territoriale; la previsione di incentivi pubblici per far sì che nelle aziende di grandi dimensioni sia presente un’unità tecnica che si occupi, con progetti personalizzati, dei singoli lavoratori con disabilità; la valorizzazione del ruolo delle associazioni nel campo dell’intermediazione e del tutoraggio.

Molte delle azioni qui elencate sono state realizzate con provvedimenti di carattere legislativo, a partire dal I e II Programma di Azione, che ancora richiedono però di essere pienamente applicati. Nelle diverse leggi di stabilità degli ultimi anni sono stati previsti incrementi per il Fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità e come già accennato anche il D. Lgs. 151/2015 ha previsto modifiche volte a rilanciare lo “spirito” della legge 68/99. A tali interventi si sono accompagnate misure quali l’estensione del diritto al part time reversibile già previsto per i pazienti oncologici; un preavviso di almeno 90 giorni per recesso dello smartworking applicato su base volontaria alle persone con disabilità e più in generale un’evoluzione della contrattazione collettiva più attenta ai temi delle disabilità».

Eppure, purtroppo «Il Covid-19 ha fatto precipitare moltissime persone in uno stato di forte preoccupazione anche sotto il profilo lavorativo, timori ancora più forti tra le migliaia di persone con disabilità. Con la crisi sanitaria, sociale ed economica inoltre il tema della qualità del lavoro è finito in secondo piano, poiché l’attenzione si è concentrata sulla “quantità” di lavoro. Fish monitora da anni il fenomeno e anche tra febbraio e aprile 2020 ha realizzato via web una capillare indagine (progetto JobLab) che pur evidenziando le elevate competenze possedute dagli intervistati (i laureati ammontano al 42% e salgono al 50% tra le donne) documenta il fatto che fra le persone con disabilità un lavoratore su tre afferma di avere credenziali formative superiori a quelle necessarie per svolgere il proprio lavoro».

Che fare oggi? «Occorre riposizionare la vita delle persone con disabilità al centro degli interventi di sostegno e supporto, per renderli più inclusivi. Sarà questa la scommessa più grande», sottolinea Falabella che, come Porcari, non ha dubbi su un aspetto: «In un tempo di aumentata precarietà e rischio di esclusione dal mondo del lavoro per le persone con disabilità, sia in termini di mancato accesso sia di espulsione, è essenziale coinvolgere pienamente le persone con disabilità e i rispettivi enti di rappresentanza, per realizzare il riconoscimento pieno e totale dei diritti, per l’inclusione sociale e per le pari opportunità di tutti i cittadini. Solo se sapremo cogliere questa sfida, riusciremo a risollevare le sorti del nostro Paese».