Fonte www.redattoresociale.it - Isolare per prevenire il contagio non si può: togliere la libertà per garantire la salute non è lecito. Questo, in sintesi, quanto ribadisce il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, in riferimento alla situazione attuale all'interno delle strutture residenziali per persone anziane o con disabilità. E lancia l'allarme, in una “Lettera ai presidenti delle Regioni sulle Rsa”, diffusa nei giorni scorsi.

Da quando la pandemia ha imposto la totale chiusura delle strutture, infatti, queste sono rientrate nell'ambito del mandato di vigilanza del Garante nazionale, che quindi ha avviato un monitoraggio sulle condizioni di ospitalità delle persone e sulle misure adottate per affrontare l'emergenza sanitaria.

Vedersi “a distanza” non basta

“Sono state molte le segnalazioni giunte al Garante nazionale in questo periodo – si legge nella nota del Garante - e ancora oggi risulta che in molte strutture persone anziane o con disabilità non hanno la possibilità di incontrare le persone care o di riferimento; in altre tale possibilità è estremamente ridotta e talmente rigida da rendere difficile la significatività dei contatti. Non basta vedere a distanza perché in molti casi, soprattutto per persone con disabilità l’assenza di relazioni anche gestuali dirette determina una regressione cognitiva con forte rischio di istituzionalizzazione”. Per questo il Garante, nella lettera inviata ai governatori, ha evidenziato il rischio che la cosiddetta fase 2 continui a mantenere in queste strutture un sorta di separatezza prolungata, che così si trasformerebbe in una ordinarietà caratterizzata dall’isolamento dal mondo esterno e dalla rarefazione degli incontri con le persone care. Ciò può così configurarsi, inoltre, come forma di discriminazione in ordine all’età della persona o al grado di disabilità.

Allarme dei caregiver: “Lo spettro di nuovi manicomi”

La lettera del Garante viene oggi rilanciata da alcune associazioni di caregiver di Roma e del Lazio, tra cui Hermes, Oltre lo sguardo onlus, Nuove Frontiere APS, Anffas Lazio, Uici Lazio e consulte cittadine e municipali. “Al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, ai presidenti di Regione, a tutti i Sindaci d’Italia si richiede con la massima urgenza di porre fine alla segregazione delle persone con disabilità che vivono all’interno di strutture residenziali socio sanitarie e sanitarie riabilitative – si legge nella lettera aperta delle associazioni - Nessuno deve essere privato del diritto alla libertà di uscire (rispettando i protocolli di sicurezza) e di vivere i propri affetti familiari”.

Le associazioni precisano che “le strutture residenziali per le persone con disabilità (come Rsd, Comunità socio sanitarie e comunità alloggio) non devono e non possono essere equiparate alle Rsa o alle strutture sanitarie. Le persone con disabilità vivono una diversa condizione di vita ma non sono malati. La condizione di vita determinata da una disabilità necessita di progetti riabilitativi e non di isolamento dal resto del mondo”. Per questo, “con le dovute attenzioni e l’utilizzo di dispositivi di protezione, anche loro hanno il diritto di tornare a vivere, amare ed essere amati dai loro familiari, senza inutili e talvolta dannosi irrigidimenti sanitari che ne limiterebbero di fatto la libertà, anche ove ipotizzata”.

A raccontare la sofferenza di chi vive in questa condizione di separazione e isolamento, c'è la storia che ci racconta Elena Improta, mamma caregiver di Mario e fondatrice di Oltre lo sguardo onlus: “S. ha 33 anni, è stata Oss in una Rsa di Milano, ha una grave tetraparesi spastica degenerativa, ormai in fase terminale. I suoi genitori sono anziani e lei da anni vive in Rsa: attaccata alla macchina per respirare, muove solo una mano. Da mesi non può vedere i suoi cari e usa quella mano per fare video chiamate, pur di mantenere un contatto con loro. Ha ancora poco tempo da vivere e vorrebbe incontrare i suoi familiari nel giardino della struttura, ma la direzione sanitaria non le accorda il permesso. S. piange tutti i giorni e ha paura – dice – di far arrabbiare gli operatori. Dobbiamo liberare S., simbolo della segregazione e della privazione di amore e affetto che tanti come lei sono costretti a sopportare in questi mesi”.