Fonte www.superando.it - «Con il lockdown sono radicalmente cambiate le modalità di lavoro: milioni di italiani hanno scoperto lo smart working, o “lavoro agile”, altri hanno lavorato in presenza con nuove norme di prevenzione, altri ancora hanno sospeso ogni attività. Gli organi d’informazione hanno parlato molto di come il lockdown abbia cambiato il lavoro, dimenticando però di approfondire l’impatto dell’emergenza COVID sui lavoratori con disabilità. Con questa nostra indagine abbiamo tentato di colmare questa lacuna».

Lo dicono dalla FISH* (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che nella mattinata di oggi, 19 giugno, durante il JobLabDay che ha concluso il percorso del progetto JobLab Laboratori, percorsi e comunità di pratica per l’occupabilità e l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, ha presentato l’instant report intitolato La pandemia vista dai lavoratori con disabilità, realizzato in collaborazione con l’IREF, l’Istituto di Ricerche Educative e Formative delle ACLI.

«La ricerca – spiegano dalla FISH – ha riguardato tutti i lavoratori con disabilità o con esiti di patologie oncologiche o immunodepressioni, cioè condizioni potenzialmente a rischio e ha coinvolto cinquecento persone intervistate nella settimana dall’11 al 18 maggio. Quasi superfluo è sottolineare che anche per questi lavoratori il lockdown è stato un periodo complesso, con alcune aziende che sono rimaste aperte, altre che hanno attivato il “lavoro agile”, mentre quasi tutte hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali».

Vediamo dunque una serie di dati emersi dall’indagine promossa da FISH e IREF.

Solo una persona con disabilità su tre ha avuto accesso al cosiddetto “lavoro agile” (34,3%), mentre più di un quinto degli intervistati ha continuato a lavorare in presenza. La scelta dello smart working ha prevalso in settori economici specifici come i servizi (quasi il 36%) e nel comparto pubblico (Istruzione, Sanità e Pubblica Amministrazione: 38%), ove opera buona parte degli occupati con disabilità intervistati. Le aziende/amministrazioni più orientate ad attivare questa modalità di lavoro sono state quelle con più di quindici dipendenti.

Per quanto riguarda i lavoratori che durante la Fase 1 hanno continuato a recarsi in sede, essi hanno in genere riportato problemi sull’effettiva capacità delle aziende di assicurare adeguate misure preventive. A tal proposito, circa un lavoratore su due ha riferito di avere ricevuto materiali di protezione individuale e di avere avuto indicazioni rispetto all’adozione delle dovute distanze interpersonali. Meno frequente, invece, è risultata l’areazione e la sanificazione dei locali, nonché la rilevazione della temperatura. Circa un lavoratore su cinque, invece, non ha mai ricevuto guanti, mentre uno su due ha riportato la mancata adozione dei controlli della temperatura in entrata nella sede.

«I dipendenti delle aziende che non hanno attivato il “lavoro agile” – viene pertanto sottolineato dalla FISH – si sono trovati di fronte a una scelta: continuare a lavorare o usare permessi, giorni di malattia o altre soluzioni?».

Di seguito le risposte a tale quesito.

Quasi un terzo degli occupati con disabilità (32,5%) ha smesso di lavorare, nonostante l’azienda avesse attivato lo smart working, ciò che ha riguardato soprattutto chi era attivo in aziende dove era prevista comunque una parte di lavoro in presenza. Inoltre, per quasi un lavoratore con disabilità su due (45,5%) è arrivata anche la cassa integrazione nelle sue varie forme. E tuttavia, per compensare l’impatto della pandemia, si è ricorso pure a strumenti di flessibilità come congedi, permessi e altro, strategia scelta da oltre il 70% degli intervistati (il 76,8% nel pubblico impiego). In particolare, tra chi non ha lavorato, nonostante l’azienda avesse attivato il “lavoro agile”, il ricorso ai congedi è stato dell’84,6%, percentuale che varia a seconda del tipo di limitazione del lavoratore: si va infatti da un minimo del 76,3% per le persone con una disabilità sensoriale, cognitiva o psichiatrica a un massimo del 90,6% per le persone con limitazioni multiple. Per quanto concerne poi il dato relativo ai lavoratori con esiti da malattia oncologica, esso è pari all’86,7%.
Tra coloro che hanno dichiarato un solo tipo di limitazione, ha prevalso il ricorso ai permessi lavorativi (40%), mentre coloro che hanno dichiarato limitazioni plurime hanno evidenziato un uso molto più marcato dell’assenza equiparata a ricovero ospedaliero (39,5%) e della malattia (48,1%), con valori doppi rispetto alle persone con una singola forma di disabilità.
Il ricorso alle assenze equiparate a ricovero e alla malattia è stato molto più alto fra i lavoratori con esiti da malattie oncologiche e immunodepressioni (rispettivamente 41,2% e 30,6%).

«Per i lavoratori con disabilità con un profilo di salute più a rischio – rilevano dalla FISH – la pandemia ha comportato un marcato distacco dal lavoro. Questa nostra indagine non ha permesso per altro di approfondire se si sia trattato di una libera scelta o di una sollecitazione aziendale. Potrebbe avere prevalso la paura per le occasioni di contagio, e tuttavia c’è da notare che lo scarso ricorso allo smart working potrebbe pregiudicare il reintegro completo nei ranghi aziendali di questi lavoratori».

Un capitolo a sé riguarda le forme di flessibilità oraria, rispetto alle quali gli intervistati hanno evidenziato due tipi di problemi: la precisione (o meglio, l’imprecisione) delle informazioni e la scarsa conoscenza da parte dei referenti aziendali del funzionamento delle agevolazioni. Rispetto al primo elemento, la percentuale di giudizi completamente negativi è stata pari al 40,2%, per il secondo si è arrivati al 31,9%.

«La pandemia – annotano ancora dalla FISH – ha portato in primo piano alcuni dei limiti del modello italiano di inclusione lavorativa delle persone con disabilità: i tassi di attività durante la Fase 1 sono dipesi infatti, in modo abbastanza evidente, dal tipo di disabilità. Da una parte ci sono i lavoratori con limitazioni motorie, che in molti casi hanno continuato a lavorare o in presenza o a distanza; dall’altra le persone con esiti da malattia oncologica o con limitazioni plurime, che hanno fatto ricorso in modo massiccio ai congedi e alle assenze per malattia».

Significativo è anche il dato riguardante i giudizi sulle misure adottate dal Governo per la Fase 1, che sono risultati generalmente negativi. Complessivamente, infatti, più di un lavoratore con disabilità su due ha espresso riserve sull’adeguatezza della risposta politica alla crisi, sanitaria e sociale, mentre due su tre hanno giudicato la produzione normativa di questo periodo poco chiara. Nello specifico, il 50,4% si è dichiarato insoddisfatto per la scelta della platea dei beneficiari, il 57% per l’entità del supporto economico e per le procedure di accesso.

«Le forti riserve espresse rispetto alle scelte del Governo durante la Fase 1 – concludono dalla FISH – appaiono dunque in netta controtendenza con i sondaggi realizzati sulla popolazione generale: come riportano infatti diversi istituti di ricerca, il consenso degli italiani nei confronti dell’azione di Governo in questi ultimi mesi è al contrario molto solido». (S.B.)

*A cui Anffas aderisce