sostegno_curaRapporto Istat: caregiver un italiano su 4 e le donne si sobbarcano due terzi del carico.

Fonte www.controlacrisi.org - Più di un italiano su quattro fa parte di una rete informale, cioè in qualità di amico, parente, collega, vicino di casa si mette a disposizione di altre persone bisognose di aiuto. Per un totale di 3 miliardi di ore all'anno.

È questo il vero welfare italiano, fotografato dall'Istat nel "Rapporto annuale sulla situazione del paese". È il volto di un'Italia che si riscopre solidale e che trova nelle reti familiari e amicali una vera e propria àncora. Si tratta di oltre 14 milioni di persone, chiamate "caregiver", il cui numero è in crescita rispetto al 1983: allora erano il 20,8%, oggi il 26,8% della popolazione italiana.

I motivi dell'aumento: il merito di questo aumento è dovuto a più fattori, tutti comunque strettamente riconducibili alle profonde trasformazioni demografiche che hanno interessato il paese negli ultimi anni. Ma dipende anche dai criteri usati dall'Istat per definire il "caregiver": solo le persone che non vivono nella stessa abitazione della famiglia che riceve aiuto. Poiché i nuclei familiari sono diventati sempre più piccoli, con al massimo due generazioni conviventi sotto lo stesso tetto, ne risulta che una nonna che dà appoggio esterno rientra a pieno titolo nei caregiver, anche se il suo lavoro di assistenza non è cambiato rispetto al passato.

Un altro motivo dell'aumento sta nel maggior numero di anziani in buona salute, che diventano risorsa attiva per la famiglia di riferimento e sempre più spesso per l'intera comunità. Lo dimostrano, ancora una volta, i dati: l'Istat riferisce di un significativo aumento dell'età media dei caregiver, passata dai 43,2 anni del 1983 ai 50,1 del 2009 .

Il terzo motivo è l'ingresso della donna nel mercato del lavoro, che ha costretto le famiglie a pensare soluzioni alternative soprattutto per l'assistenza ai bambini, richiedendo sempre più spesso un aiuto esterno.

In ogni caso, crescendo il numero di caregiver cala, parallelamente, il numero di ore impiegate da ciascuno di essi: da 26,4 a 21,8 ore al mese per gli uomini, da 37,3 a 31,2 ore per le donne in 10 anni.

Donne schiacciate. Questa vasta rete solidale non riesce però a dare risposte sufficienti ai bisogni crescenti: difficoltà economiche, "grandi anziani" spesso non autosufficienti da accudire, figli da gestire sono ancora appannaggio della donna, costretta a far fronte a un carico di cura che l'Istat definisce "insostenibile". Questo "pilastro delle reti di aiuto", come viene definito nel rapporto, da solo fornisce i due terzi di tutto l'aiuto informale, con 2,2 miliardi di ore sul totale di 3 miliardi. Si prenda ad esempio una 55enne-tipo di oggi: nonna, madre, lavoratrice, con i genitori in vita da accudire, i nipotini cui badare, i figli da aiutare. È tutto sulle sue spalle e ci sono meno persone nella rete di parentela su cui contare rispetto alla generazione che l'ha preceduta.

Tutte queste difficoltà sono probabilmente alla base del rapporto - solo apparentemente paradossale - tra incremento dei caregiver e calo delle famiglie aiutate (dal 23,3% del 1983 al 16,9% del 2009). Una stessa famiglia, infatti, necessita del sostegno di più persone per far fronte a tutte le incombenze. Ma il calo dei beneficiari può essere spiegato anche dal fatto che, soprattutto nelle regioni del Nord maggiormente benestanti, alla rete informale si è sostituto il servizio pubblico o quello privato.

Difficoltà economiche e giovani. Sale il numero delle famiglie sostenute economicamente dalla rete informale : sono il 20,6% (18,9% nel 1998, con forte incremento dal 2003 quando erano 16,8%). Un segno delle crescenti difficoltà a far quadrare i bilanci domestici. I destinatari sono perlopiù persone disoccupate (67%), con madre sola casalinga (42,7%), ma aumentano significativamente gli aiuti ai giovani: dal 24% a 29% per famiglie con capofamiglia tra 25 e 39 anni.

Assistenza ai minori. Se la voce "assistenza agli anziani" incide molto sul carico di cura della donna, non è comunque la più onerosa. L'Istat infatti riferisce che è cambiata la distribuzione delle ore di assistenza: prima di tutto vengono i bambini. Le ore dedicate ai minori aumentano del 50% dal 1998 al 2009, arrivando a 1 miliardo e 322 milioni e coinvolgendo 4 milioni di caregiver. Non solo: il 40,2% degli aiuti informali in un anno è rivolto a bambini, soprattutto al Centro-Nord. Al contrario, cala il tempo per l'assistenza agli adulti, per attività domestiche e prestazioni sanitarie.

Nel 2009 il 36,7% delle famiglie con bambino di età inferiore ai 14 anni è stata raggiunta da aiuti informali, pubblici o privati (nel 1998 erano il 30,5%). Di queste, il 26,6% riceve aiuto dalla rete informale (+6% in 10 anni). Nel 2009 3,7 milioni di bambini sono stati affidati a un adulto almeno una volta a settimana (47,4% del totale). Nel 75,7% dei casi le figure di riferimento sono i nonni, e soprattutto le nonne, che in Italia sono 4 milioni e 200 mila.

Ancora: il 12% delle famiglie con bambini riceve aiuti di tipo economico, con un netto aumento rispetto al 5,5% del 1998, specialmente per l'assegno di maternità e quello per il terzo figlio. Di contro, il numero di famiglie con anziani che ha avuto un aiuto di qualche tipo si ferma al 29,2%. Anche in questo caso incide molto il ricorso ai servizi pubblici o privati, ma ci sono anche 651 mila anziani gravemente limitati nello svolgimento delle attività quotidiane che non ricevono aiuti di nessun tipo.

Apporto del volontariato: anche il mondo del volontariato fa la sua parte, rappresentando il 6,6% dei caregiver: è in calo rispetto al 2003, quando era al 7,9%, ma in crescita rispetto al 1998 (5,6%). L'attività dei volontari assorbe il 5,5% delle ore fornite in un anno e l'aiuto più frequente è quello economico: questa voce ha subito un netto incremento rispetto a dieci anni fa. Dal 4,6% del 1998 si è arrivati nel 21% sul totale degli aiuti. Importante resta il ruolo di compagnia (17,2%), di assistenza ai bambini (15,3%) e agli adulti (12,3%).

Per maggiori informazioni:

Scarica la sintesi del Rapporto Istat

25 maggio 2011